Incontro con i Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Religiose, Seminaristi e Catechisti

Papa Francesco

Cattedrale di San Dionigi ad Atene
4 dicembre 2021

Estratto

Vorrei sottolineare ora un secondo atteggiamento di Paolo all’Areopago di Atene: l’accoglienza. È la disposizione interiore necessaria per l’evangelizzazione: non voler occupare lo spazio e la vita dell’altro, ma seminare la buona notizia nel terreno della sua esistenza, imparando anzitutto ad accogliere e riconoscere i semi che Dio ha già posto nel suo cuore, prima del nostro arrivo. Ricordiamo: Dio ci precede sempre, Dio precede sempre la nostra semina. Evangelizzare non è riempire un contenitore vuoto, è anzitutto portare alla luce quello che Dio ha già iniziato a compiere. Ed è questa la straordinaria pedagogia dimostrata dall’Apostolo davanti agli Ateniesi. Non dice loro “state sbagliando tutto” oppure “adesso vi insegno la verità”, ma inizia con l’accogliere il loro spirito religioso: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione “A un dio ignoto”» (At 17,22-23). Prende una ricchezza degli Ateniesi. L’Apostolo riconosce dignità ai suoi interlocutori e accoglie la loro sensibilità religiosa. Anche se le strade di Atene erano piene di idoli, che l’avevano fatto “fremere dentro di sé” (cfr v. 16), Paolo accoglie il desiderio di Dio nascosto nel cuore di quelle persone e con gentilezza vuole donare loro lo stupore della fede. Il suo stile non è impositivo, ma propositivo. Non si fonda sul proselitismo – mai! –, ma sulla mitezza di Gesù. E ciò è possibile perché Paolo ha uno sguardo spirituale sulla realtà: crede che lo Spirito Santo lavora nel cuore dell’uomo, al di là delle etichette religiose. Abbiamo ascoltato questo dalla testimonianza di Rokos. I figli a un certo punto si allontanano un po’ dalla pratica religiosa, ma lo Spirito Santo aveva lavorato e continua a lavorare, e così loro credono molto nell’unità, nella fraternità con il prossimo. Lo Spirito lavora sempre oltre ciò che si vede all’esterno, ricordiamolo! L’atteggiamento dell’apostolo di ogni tempo inizia dunque dall’accoglienza dell’altro: non dimentichiamo che «la grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (Evangelii gaudium, 115). Non c’è una grazia astratta che gira sulle nostre teste; sempre la grazia è incarnata in una cultura, si incarna lì.

A proposito della visita di Paolo all’Areopago, Benedetto XVI disse che a noi devono stare molto a cuore le persone agnostiche o atee, ma che dobbiamo fare attenzione perché «quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere sé stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà» (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2009). Anche a noi oggi è richiesto l’atteggiamento dell’accoglienza, lo stile dell’ospitalità, un cuore animato dal desiderio di creare comunione tra le differenze umane, culturali o religiose. La sfida è elaborare la passione per l’insieme, che ci conduca – cattolici, ortodossi, fratelli e sorelle di altri credo, anche fratelli agnostici, tutti – ad ascoltarci reciprocamente, a sognare e lavorare insieme, a coltivare la “mistica” della fraternità (cfr Evangelii gaudium, 87). La storia passata rimane ancora una ferita aperta sulla strada di questo dialogo accogliente, ma abbracciamo con coraggio la sfida di oggi!