Significato Profetico del Documento sulla Fratellanza Umana

(Abu Dhabi 4 febbraio 2019)
Prolusione di S. E. Mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot
Segretario Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso
Festa patronale della Pontificia Università Urbaniana, 26 marzo 2019

Eminenza, Magnifico Rettore, Eccellenze, cari amici,

È per me un privilegio rivolgermi a voi in occasione della Festa Patronale di questa Pontificia Università Urbaniana dedicata al tema “Profezia della Cultura del reciproco rispetto”. Ringrazio il Rettore Magnifico Prof. Leonardo Sileo e il Gran Cancelliere S.Em.za Rev.ma Cardinale Fernando Filoni per l’invito che mi hanno rivolto.

Saluto tutti voi radunati qui e vi ringrazio per avermi chiesto di parlare del Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, siglato il 4 febbraio scorso a Abu Dhabi, da Papa Francesco e dal l’Imam Al-Tayyeb Grand Imam di Al-Azhar.

Non c’è alcun dubbio che io sia stato un privilegiato per avere assistito di persona ad un evento che in tanti hanno definito “storico”. Credo che, senza retorica alcuna, si possa affermare che la firma del Documento sia stata una pietra miliare nel cammino del dialogo interreligioso. Non sfuggirà neanche a voi l’importanza di quanto è avvenuto. E’ noto a tutti quanto l’Urbaniana sia un’Università in cui non viene trascurato l’insegnamento sulle religioni e sul dialogo interreligioso e quanto sia fondamentale il suo apporto negli studi di questi settori.

Permettetemi innanzitutto di ringraziare pubblicamente Papa Francesco per lo slancio che sta dando al dialogo interreligioso. Il dialogo fra persone di religioni diverse è veramente al centro delle sue riflessioni e azioni. E’ a tutti noto che fin dall’inizio del suo pontificato il Santo Padre ha dato rilievo alle relazioni fra appartenenti alle varie religioni sottolineando l’importanza dell’amicizia e del rispetto.

Dicevo che il Documento sulla Fratellanza Umana ha rappresentato una pietra miliare nel cammino del dialogo interreligioso. La pietra miliare segna un punto del cammino che non coincide né con la partenza né con l’arrivo. In tal senso, per riecheggiare ciò che il Santo Padre ha detto durante la Conferenza Stampa sul volo di ritorno da Abu Dhabi: “dal punto di vista cattolico il documento non è andato di un millimetro oltre il Concilio Vaticano II. Niente. Il documento è stato fatto nello spirito del Vaticano II”, consentitemi brevemente di ricordare alcuni elementi significativi.

  • Le radici nel Concilio

Non si può comprendere il documento se non lo si inserisce nel cammino ormai di lungo corso delle relazioni interreligiose della Chiesa cattolica, che ha trovato espressione ufficiale nel Concilio Vaticano Secondo, addirittura già a partire dal Discorso di apertura dell’11 ottobre 1962, quando san Giovanni XXIII (papa Roncalli) invitò a promuovere l’unità nella famiglia cristiana e umana: l’unità dei cattolici, l’unità con i cristiani non ancora in piena comunione e infine, cosa che più ci riguarda in questo contesto, “l’unità basata sulla stima e il rispetto che coloro che seguono le diverse forme di religione non ancora cristiane nutrono verso la Chiesa cattolica” (Gaudet Mater Ecclesia, § 8.2).

San Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam (6 agosto 1964), che fu come il programma del suo pontificato, scrisse che la missione della Chiesa, oggi, prende il nome di dialogo. Aprirsi all’altro, scoprire i valori di cui vive, camminare insieme e cooperare per la giustizia e per la pace significa testimoniare la pienezza di verità e di vita che, come cristiani, contempliamo e riceviamo da Gesù.

Con il Concilio l’argine si è progressivamente incrinato e poi si è rotto: il fiume del dialogo è dilagato con le Dichiarazioni conciliari Nostra Aetate sul rapporto tra la Chiesa e i credenti delle altre religioni e Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, temi e documenti che sono strettamente legati l’uno all’altro, e hanno permesso a san Giovanni Paolo II di dare vita a incontri come la Giornata mondiale di preghiera per la pace ad Assisi il 27 ottobre 1986  e a Benedetto XVI, venticinque anni dopo, di farci vivere nella città di san Francesco la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”.

Pertanto l’impegno della Chiesa cattolica per il dialogo interreligioso che apre le vie della pace, fa parte della sua missione originaria e affonda le sue radici nell’avvenimento Conciliare al quale hanno fatto riferimento anche i Pontefici nel loro magistero sul dialogo interreligioso.

Possiamo infatti dire che attraverso il dialogo con il mondo di Paolo VI, il dialogo della pace di Giovanni Paolo II, e il dialogo della carità nella verità di Benedetto XVI, siamo giunti, in cinquant’anni, alla sfida del “dialogo dell’amicizia”, annunciato da Francesco.

Vivere la propria identità nel “coraggio dell’alterità” è la soglia che oggi la Chiesa di papa Francesco ci chiede di attraversare. Solo così la fedeltà a Dio, in Gesù, si fa storia nuova, costruzione di una civiltà dell’alleanza che abbraccia nella pace e nello scambio dei doni la ricchezza delle differenze.

Come è noto, insieme alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso pubblicò nel 1991 il documento Dialogo e annuncio nel quale si cerca di chiarire il rapporto esistente tra l’annuncio della salvezza in Cristo ed il dialogo con persone di altre religioni. Vale la pena di citare quanto affermato nel n. 49: “La pienezza della verità ricevuta in Gesù Cristo non dà ai singoli cristiani la garanzia di aver assimilato pienamente tale verità. In ultima analisi, la verità non è qualcosa che possediamo, ma una persona da cui dobbiamo lasciarci possedere. Si tratta quindi di un processo senza fine”. Lo stesso testo prosegue spiegando che, pur mantenendo intatta la nostra identità, dobbiamo essere disposti a imparare e a ricevere dagli altri e per loro tramite i valori positivi delle loro tradizioni.

  • Nel segno del dialogo interreligioso

Non mi voglio soffermare su ciò che si intende per dialogo interreligioso e su quali siano le sue applicazioni ma piuttosto vorrei riflettere, alla luce di quanto è accaduto a Abu Dhabi, su come esso sia indispensabile per rafforzare i legami della fratellanza umana al fine di costruire un mondo pacifico ed una convivenza comune.

La collaborazione interreligiosa deve e può sostenere i diritti di ogni essere umano, in ogni parte del mondo e in ogni tempo. Siamo tutti membri dell’unica famiglia umana e come tali abbiamo uguali diritti e doveri in quanto cittadini di questo mondo. Ricordiamoci sempre che alla base della nostra collaborazione e del nostro dialogo ci sono le radici comuni della nostra umanità, cioè che per dialogare non partiamo dal nulla: c’è già la nostra condizione umana che condividiamo, con tutti i suoi aspetti esistenziali e pratici, che è un buon terreno di incontro.

La Chiesa Cattolica, fin dal Concilio Vaticano II, è stata convinta che “non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio” (Nostra aetate, 5). “Ma” dice Papa Francesco “la fraternità esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità” (Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della XLVIII Giornata Mondiale della Pace:  Non più schiavi ma fratelli, 1° gennaio 2015).

Il pluralismo, non solo religioso, delle nostre società è una realtà che ci invita a riflettere sulla nostra identità senza la quale non si ha un dialogo interreligioso autentico. Non diciamo che tutte le religioni sono uguali, ma che tutti i credenti, quanti cercano Dio e tutte le persone di buona volontà prive di una affiliazione religiosa, hanno pari dignità. Dobbiamo quindi impegnarci perché Dio, che ci ha creati, non sia motivo di divisione, bensì di unità.

A questo proposito ho di recente letto un articolo di Francesco Cosentino nel quale, dicendo che la fede cristiana deve contemplare in sé la diversità e le  differenze non come un fatto di politica ecclesiale ma un dato teologico, l’autore afferma che: “Pensare la pluralità e la differenza, fondando biblicamente e teologicamente il tema della prossimità, della cura dell’altro e della compassione, è un compito non nuovo per la teologia e, tuttavia, oggi essa può ricevere un nuovo impulso e approfondire la questione con inedita creatività” (L’Osservatore Romano, 27-28 febbraio 2019). In un altro articolo, a firma del gesuita Giacomo Costa, si dice che il Documento è un testo condiviso, cioè si tratta di una narrazione condivisa che rende i due firmatari parte della stessa storia con la possibilità di interrogarsi insieme sui valori da difendere e da promuovere come credenti che abitano lo stesso mondo. L’autore sottolinea anche che il Documento necessita di essere approfondito da una molteplicità di punti di vista: teologico, filosofico, spirituale, sociale, politico, culturale ecc. e che “sarà proprio la capacità di produrre conseguenze concrete a rappresentare la verifica di quanto l’evento è stato davvero storico (…) è finita l’epoca delle grandi dichiarazione a cui non seguono i fatti” (Aggiornamenti Sociali, marzo 2019).

Mi rivolgo a voi, che fate parte di questa illustre Università Urbaniana, per suggerire che proprio da qui potrebbe nascere quel nuovo impulso per lo studio e l’approfondimento della riflessione sulla pluralità e la differenza a partire da diversi punti di vista, cosa che gioverebbe molto alla formazione di tutti coloro che sono impegnati, nei modi più diversi, nel campo del dialogo interreligioso.

Dobbiamo quindi adottare la cultura del dialogo come via della collaborazione, come metodo della conoscenza reciproca e come criterio comune. Ricordo qui quanto il Santo Padre ebbe modo di dire recentemente al Cairo riguardo a tre orientamenti fondamentali per perseguire il dialogo e la conoscenza fra persone di diverse religioni: “il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni” (Discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la Pace, Al-Azhar Conference Centre, Il Cairo 28 aprile 2017).

Nel mondo di oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio o dall’abuso che si fa del Suo nome, le persone appartenenti alle diverse religioni sono chiamate, con un impegno solidale, a difendere e promuovere la pace e la giustizia, la dignità umana e la protezione dell’ambiente. Dobbiamo offrire la nostra collaborazione alle società di cui noi credenti siamo cittadini, e mettere a disposizione di tutti i nostri comuni valori e le nostre convinzioni più profonde che riguardano il carattere sacro ed inviolabile della vita e della persona umana. Il credente coerente e credibile è testimone e portatore di valori, che possono grandemente contribuire ad edificare società più giuste, come la rettitudine, la fedeltà, l’amore per il bene comune, l’attenzione per gli altri, soprattutto per quanti si trovano nel bisogno, la benevolenza e la misericordia.

Il dialogo interreligioso ha una funzione essenziale per costruire una convivenza civile, una società che includa e che non sia edificata sulla cultura dello scarto ed è una condizione necessaria per la pace nel mondo. In un mondo disumanizzato, nel quale la cultura dell’indifferenza e dell’avidità contraddistinguono i rapporti tra gli esseri umani, c’è bisogno di una solidarietà nuova e universale e di un nuovo dialogo per modellare il nostro futuro.

Papa Francesco nel suo intervento durante la Global Conference of Human Fraternity ha detto: Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture”. È giunto il tempo in cui “le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace”. (Discorso di Papa Francesco alla Global Conference of Human Fraternity, Founder’s Memorial Abu Dhabi, 4.2.2019).

Il Santo Padre al di là del dove, del quando e del con chi,  ci ricorda che siamo chiamati a realizzare ciò che è, oggi e ovunque, strettamente necessario per il nostro mondo, e cioè il dialogo interreligioso. Al centro del Viaggio Apostolico ad Abu Dhabi, che è stato di carattere interreligioso e pastorale, c’è stata una concreta chiamata alla “Fraternità Universale”, nel segno della giustizia e della pace.

  1. La dimensione profetica del documento sulla Fratellanza umana

Per parlare in dettaglio del Documento e del suo valore credo che sia opportuno inserirlo, come un quadro, nella giusta cornice. Penso che ci potrà essere d’aiuto leggere e riflettere sul Documento alla luce di quanto scritto dal Santo Padre nella Evangelii Gaudium: “Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. (…) Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci” (Evangelii Gaudium 223).

Si può certamente dire che la firma del Documento sia stata proprio una di quelle azioni che generano nuovi dinamismi nella società. E’ un processo che è iniziato! Si tratta, come già detto, di un documento storico per i credenti delle varie religioni, nonchè per tutte le persone di buona volontà. E’ la famiglia umana ad essere interpellata e coinvolta. Il Documento in sé pur essendo nato, come ha ben spiegato il Santo Padre, da una lunga e attenta riflessione comune in ambito musulmano e cattolico, non ha nulla che non possa essere condiviso da altri. Si tratta di un invito concreto alla fratellanza universale che riguarda ogni uomo e ogni donna. Non è infatti un caso che il Documento sia stato firmato al termine della Global Conference of Human Fraternity alla quale hanno preso parte 700 rappresentanti di diverse religioni ed alle quale sono intervenuti entrambi i firmatari. Si tratta, pertanto, non di un Documento confessionale né di un testo islamo-cristiano, benchè ovviamente traspaia in filigrana la spiritualità dei due firmatari, ma bensì di un Documento aperto a tutti, usufruibile e condivisibile da tutti.

Sappiamo bene che la strada del dialogo interreligioso è stata spesso in salita e piena di ostacoli, è una lunga storia fatta anche di dispute, di pregiudizi e di contrapposizioni. Però l’importanza di questo Documento sta anche nel fatto che si è voluti andare oltre. C’è un’urgenza dettata dall’attuale situazione mondiale che ha fatto mettere da parte pregiudizi, indugi e difficoltà. Due uomini anziani e saggi, Papa Francesco e l’Imam Al-Tayyeb, hanno avvertito con forza la necessità di mettere da parte le difficoltà, di superare gli ostacoli e, pur non rinunciando in nulla alla propria identità o rifacendosi ad un facile irenismo, hanno con forza e con grande coraggio, affermato la necessità della fraternità umana quale condizione necessaria per l’ottenimento di quella pace alla quale anela il mondo intero. In tutto il Documento traspare la convinzione che tutti insieme si possa e si debba ancora lavorare con coraggio e fede per recuperare la speranza in un nuovo futuro per l’umanità. E’ indubbiamente un Documento impegnativo direi un punto di non ritorno che richiede riflessione, studio e che ci impegna nella sua diffusione.

Nell’udienza generale del 6 febbraio 2019, il Pontefice ha precisato che “in un’epoca come la nostra, in cui è forte la tentazione di vedere in atto uno scontro tra le civiltà cristiana e quella islamica, e anche di considerare le religioni come fonti di conflitto, abbiamo voluto dare un ulteriore segno, chiaro e deciso, che invece è possibile incontrarsi, è possibile rispettarsi e dialogare, e che, pur nella diversità delle culture e delle tradizioni, il mondo cristiano e quello islamico apprezzano e tutelano valori comuni: la vita, la famiglia, il senso religioso, l’onore per gli anziani, l’educazione dei giovani, e altri ancora”. Se Dio è il Creatore di tutto e di tutti, noi siamo membri di un’unica famiglia e come tali dobbiamo riconoscerci. Questo è il criterio fondamentale che la fede ci offre per gestire la convivenza umana, per interpretare le diversità che sussistono tra noi, e per disinnescare i conflitti.

Mi soffermo su alcuni punti del Documento.

I problemi attuali vengono chiamati per nome

Questo documento è coraggioso e profetico perché affronta, chiamandoli per nome, alcuni tra i problemi più urgenti del nostro tempo, invitando i credenti e gli uomini di buona volontà a un esame di coscienza e ad assumersi con fiducia e determinazione le proprie responsabilità per la costruzione di un mondo più giusto e inclusivo.

Senza ambiguità, il Papa e il Grande Imam avvertono che a nessuno è mai permesso di usare il nome di Dio per giustificare la guerra, il terrorismo o qualsiasi altra forma di violenza. Riaffermano che la vita deve essere sempre salvaguardata, così come devono essere riconosciuti il diritto dei bambini di crescere in un ambiente familiare, il diritto al cibo e all’educazione, alla tutela in un ambiente digitale sempre più insidioso per loro.

La Dichiarazione definisce come “necessità essenziale” il riconoscimento del diritto delle donne all’istruzione, al lavoro e all’esercizio dei loro diritti politici: liberare la donna da pressioni storiche e sociali contrarie ai principi della sua stessa fede e dignità, proteggerla dallo sfruttamento, porre fine a tutte le pratiche disumane, che ne umiliano la dignità e cambiare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei loro diritti.

La Dichiarazione attesta che “la libertà è un diritto di ogni persona: ognuno gode della libertà di credo, pensiero, espressione e azione. Il pluralismo e la diversità delle religioni, il colore, il sesso, la razza e il linguaggio sono una saggia volontà divina”. È dalla saggezza divina che scaturisce il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo motivo, il documento condanna le adesioni forzate a una particolare religione o cultura, o a uno stile di civiltà che gli altri non accettano. Pertanto l’intento del Documento è quello di adottare:

la cultura del dialogo come via;

la collaborazione comune come condotta;

la conoscenza reciproca come metodo e criterio.

D’ora in poi si potrà affermare che le religioni non sono un sistema chiuso, dato una volta per tutte, ma sono in cammino.

Dalla tolleranza alla convivenza

Sono parole non di circostanza quelle dette dal Grand Imam di Al-Azhar nel suo intervento. Egli, sottolineando che non dev’esserci differenza, distinzione tra cristiani e musulmani, ha invitato i cristiani dicendo: “smettetela di sentirvi minoranze, voi siete nostri concittadini!”. Non sono certo parole irrilevanti e credo che, se ascoltate e messe in pratica sia dai musulmani che dai cristiani, potranno produrre davvero dei cambiamenti profondi.

Il testo della Dichiarazione di Abu Dhabi sottolinea la necessità di passare dalla mera tolleranza alla convivenza fraterna. Per i cristiani che vivono in Medio Oriente o nei paesi a maggioranza musulmana affinché non si sentano più una minoranza chiusa che lotta per sopravvivere o fuggire, ma cittadini attivi che hanno il diritto e il dovere di contribuire allo sviluppo della società. Per i musulmani che vivono in occidente affinché cerchino la vera integrazione nel rispetto delle leggi dei paesi che li ospitano e con lo spirito di fede che discende dall’essere ospiti di fratelli. Per i musulmani in Oriente e i cristiani in Occidente affinché inizino a conoscersi partendo da ciò che li unisce, ovvero l’unico Dio in cui credono.

“Conosci te stesso” ma anche “Conosci il fratello”

Come ha spiegato Papa Francesco sempre al Founder’s Memorial: “Alla celebre massima antica ‘conosci te stesso’ dobbiamo affiancare ‘conosci il fratello’: la sua storia, la sua cultura e la sua fede, perché non c’è conoscenza vera di sé senza l’altro. Da uomini, e ancor più da fratelli, ricordiamoci a vicenda che niente di ciò che è umano ci può rimanere estraneo. È importante per l’avvenire formare identità aperte, capaci di vincere la tentazione di ripiegarsi su di sé e irrigidirsi”.

La prospettiva di educarsi ed educare a una cultura dell’incontro, della fraternità, della pace comporta, come conseguenza inevitabile, la volontà di rivedere, in questa luce, anche i percorsi formativi e accademici nelle scuole, negli istituti di formazione, nelle università. Un primo passo concreto sarà quello di studiare, riflettere e diffondere il Documento sulla Fratellanza come ci ha chiesto di fare il Santo Padre.

A proposito dell’educazione al dialogo interculturale ricordo quanto scritto nel documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica al n. 19: “Tale conoscenza non si esaurisce in se stessa, ma si apre al dialogo. Più è ricca la conoscenza più si è in grado di sostenere il dialogo e di vivere insieme con chi professa altre religioni. Le differenti religioni, nel contesto di un dialogo aperto tra le culture, possono e devono portare un contributo decisivo alla formazione della coscienza dei valori comuni” (Congregazione per l’Educazione Cattolica, Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore, 28 ottobre 2013).

Di fronte a un’umanità ferita da tante divisioni e fanatismi ideologici, il Papa e il Grande Imam hanno dimostrato che la promozione della cultura dell’incontro e della conoscenza dell’altro non sono un’utopia, ma la condizione necessaria per vivere in pace e lasciare alle generazioni future un mondo migliore di quello in cui viviamo.

Nell’intenzione del papa e del Grand Imam, la Dichiarazione dovrebbe essere un “simbolo dell’abbraccio tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud”. Ciò presuppone, da un lato, che i due partner si mettano dinanzi a Dio in atteggiamento di disponibilità sincera a obbedire al Suo volere. E, dall’altro, un attento discernimento del momento cruciale che oggi attraversa l’umanità, alla luce della propria rispettiva fede nel disegno di Dio sulla storia umana.

Nelle nostre società segnate dalla crisi del rispetto della dignità umana, dal decadimento della famiglia, dalla fatica ad accogliere e integrare l’altro bisognoso e dalla mancanza di speranza in tanti delle giovani generazioni spetta anche a noi il compito di formare le coscienze perché le nostre comunità ascoltino ed apprendano con interesse, sensibilità e rispetto il ricco patrimonio umano e spirituale di ogni credente.

Da qui l’importanza della formazione e dell’educazione delle generazioni più giovani. Si deve ricomporre la frattura generazionale al fine di trovare nuove vie per riprendere il dialogo religioso interrotto con la platea giovanile.

Nel suo Discorso al Founder’s Memorial di Abu Dhabi, il Papa ha spiegato che cosa intende per fratellanza: “Le religioni siano voce degli ultimi, che non sono statistiche ma fratelli, e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti, siano richiami vigili perché l’umanità non chiuda gli occhi di fronte alle ingiustizie e non si rassegni mai ai troppi drammi del mondo”. E’ evidente che Papa Francesco non parla di una fratellanza teorica.

Alla luce di quanto detto finora, sorge come un dovere di reciproca custodia. A Dio che chiede “Dov’è tuo fratello”, nessuno potrà più rispondere: “Non lo so” (cfr Gen 4,9). Allora vari interrogativi s’impongono: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una fratellanza non teorica, che si traduca in autentica fraternità? Come far prevalere l’inclusione dell’altro sull’esclusione in nome della propria appartenenza? Come far sì che le religioni possano essere canali di fratellanza anziché barriere di divisione?

La fraternità è una realtà umana complessa, a cui si deve prestare attenzione, e che va trattata con delicatezza. Se la fraternità presuppone la solidarietà tra le persone, suggerisce ovviamente un atteggiamento interiore di delicatezza, direbbe Papa Francesco di ‘tenerezza’, per esprimere l’amore del prossimo.

Con la firma della Dichiarazione di Abu Dhabi, si è creato dunque uno spazio di apertura, di sincerità, di collaborazione, nel quale si potranno sciogliere, con prudenza e discernimento, i tanti nodi che restano. La luce la dà Dio, e Dio è presente dove c’è l’amore.

Nel segno della pace si è costruito un ponte ed abbattuto un muro 

Grazie ad un’autentica collaborazione fra credenti, quale è stata quella fra il Santo Padre e il Grande Imam di al-Azhar, si è lavorato per contribuire al bene di tutti, individuando le tante ingiustizie che ancora affliggono questo mondo e condannando ogni violenza.

Davvero come ci dice sempre Papa Francesco, si è costruito un ponte perché il Documento sulla Fratellanza è un’esortazione a guardare con misericordia alla vita degli altri, ad avere compassione del povero, a lavorare insieme per il bene della nostra casa comune che è il Creato.

Aprirsi agli altri, conoscerli e riconoscerli come fratelli e sorelle è il primo passo per allontanarci dai muri innalzati a causa della paura e dell’ignoranza e per cercare tutti insieme di costruire quei ponti di amicizia che sono fondamentali per il bene dell’umanità intera. Coltiviamo quindi nelle nostre famiglie e nelle nostre istituzioni politiche, civili e religiose un nuovo stile di vita dove la violenza viene rifiutata e la persona umana è rispettata. Come ha già detto il Santo Padre in diverse occasioni, il dialogo si deve basare sull’amicizia e sul rispetto reciproco che hanno le loro radici nel riconoscimento della dignità umana di ogni persona.

Ritengo perciò che praticando, nella libertà e nel rispetto del diritto, tutto ciò che la maggioranza delle religioni hanno in comune — preghiera, digiuno, elemosina, pellegrinaggio — dimostreremo che i credenti sono un fattore di pace per le società umane e risponderemo a tutti coloro che accusano ingiustamente le religioni di fomentare l’odio e di essere la causa della violenza. Nel mondo precario di oggi, il dialogo tra le religioni non è un segno di debolezza. Esso trova la sua ragion d’essere nel dialogo di Dio con l’umanità.

Preghiera, dialogo, rispetto e solidarietà sono le uniche armi vincenti contro terrorismo, fondamentalismo e ogni genere di guerra e di violenza. E sono armi che fanno parte degli arsenali spirituali di tutte le religioni.

La pace è un bene prezioso, un’aspirazione che abita nel cuore di ogni uomo, credente o non credente, e che dovrebbe ispirare ogni azione umana. Come emerge dalla lettura del Documento di Abu Dhabi nel mondo plurale, nella società globalizzata, non si può costruire una riconciliazione tra Oriente e Occidente tra Nord e Sud se non si parte da un punto comune: la condanna, il rigetto di ogni tipo di violenza e della guerra. Come ha detto molte volte il Santo Padre, ci troviamo in una condizione di Terza Guerra Mondiale, se pure a pezzi, è perciò necessario unire veramente tutte le forze: le società contemporanee sono società in cui si vive insieme e si vive tra diversi. Quindi, o si lavora per l’integrazione e l’armonia, oppure realmente questa condizione di guerra sarà perenne. Religioni e culture sono sfidate nella loro essenza, per tirare fuori tutto ciò che c’è di pacifico in loro e per diffonderlo nel mondo.

Mi piace qui ricordare, come era anche evidenziato dal motto del Viaggio Apostolico ‘Fa di me uno strumento della tua pace’, che l’incontro di Abu Dhabi si è svolto 800 anni dopo quello tra San Francesco di Assisi e il sultano Malik al- K?mil.  San Francesco aveva intuito che il dialogo è lo spazio della missione per confrontarsi con chi non conosce il Vangelo e non ha sentito parlare di Gesù Cristo. Così si è espresso Papa Francesco: “In quel tempo, mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, San Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto. È importante la mitezza: se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua presenza; altrimenti, non porteremo frutto” (Omelia Santa Messa nello Zayed Sports City, Abu Dhabi, 5 febbraio 2019).

La lezione di San Francesco è che, lungi dal cedere al sincretismo o al relativismo, o rinunciare alla propria storia e tradizione, l’identità cristiana è però “flessibile”, cioè capace di confrontarsi con le mutate condizioni sociali e politiche del mondo, nonché di vincere preconcetti e forme d’intolleranza. È un’identità che vive della volontà d’incontrare l’altro, che sente il desiderio del dialogo.

Dobbiamo essere grati a San Francesco, che ha avuto l’ispirazione e il coraggio di incontrare il Sultano, e a Malik al-K?mil per la sua apertura ed accoglienza.  Ecco dunque un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra credenti di diverse religioni: promuovere un dialogo nella verità fatto di stima e rispetto reciproci e nella mutua comprensione (cfr Nostra aetate, 3).

La profezia del documento di Abu Dhabi consiste forse proprio in questo: un invito a superare l’odio con l’amore, sull’esempio di Gesù. La storia della salvezza ci insegna che il disegno di Dio d’inserire l’umanità in una storia genealogica, esprime la volontà divina di non sradicarla a causa delle sue imperfezioni, ma di santificarla e trasfigurarla, facendo del fratello un prossimo e del prossimo un fratello.

Mi auguro che il grande gesto compiuto dal Santo Padre e dall’Imam Al-Tayyeb, di fronte ed insieme ai rappresentanti delle diverse convinzioni religiose, possa trovare una eco da parte di tutti coloro che sono preposti nei vari ambiti della vita sociale e civile. Spero che questo Messaggio di Fraternità venga accolto dalla comunità internazionale per il bene di tutta la famiglia umana che deve passare dalla semplice tolleranza alla vera convivenza e coesistenza pacifica.

Dobbiamo quindi sostenere gli sforzi esemplari e determinati volti a promuovere la pace tra i popoli di tutto il mondo che hanno compiuto Papa Francesco e il Grande Imam.

Grazie per l’attenzione