Segretariato per i non cristiani
Pentecoste 1984
L’ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA DI FRONTE AI SEGUACI DI ALTRE RELIGIONI
Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione
INTRODUZIONE
Una tappa nuova
1. Il Concilio Vaticano II ha segnato una tappa nuova nelle relazioni della Chiesa con i seguaci
delle altre religioni. Molti documenti conciliari fanno esplicito riferimento ad essi, ed uno in
particolare, la dichiarazione «Nostra aetate», è interamente dedicato al «rapporto della Chiesa
cattolica con le religioni non cristiane».
in un mondo in cambiamento
2. I rapidi cambiamenti nel mondo e l’approfondimento del mistero della Chiesa «sacramento
universale di salvezza » (LG 48), hanno favorito questo atteggiamento verso le religioni non
cristiane. «Per l’apertura fatta dal Concilio, la Chiesa e tutti i cristiani hanno potuto raggiungere una
coscienza più completa del mistero di Cristo» (RH 11).
l’ideale del «dialogo».
3. Questo nuovo atteggiamento ha preso il nome di dialogo. Questo vocabolo, che è norma e
ideale, è stato valorizzato nella Chiesa da Paolo VI con l’enciclica «Ecclesiam suam» (6 agosto
1964). Da allora è diventato frequente nel Concilio e nel linguaggio ecclesiale. Indica non solo il
colloquio, ma anche l’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e
comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento.
Il Segretariato vaticano
4. Come segno istituzionale di questa volontà di colloquio e di incontro con i seguaci delle altre
tradizioni religiose del mondo, lo stesso Paolo VI istituì nel clima del Concilio Vaticano Il, il giorno
della Pentecoste 1964, il «Secretariatus pro non christianis» distinto dalla S. Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli. I suoi compiti vennero così definiti dalla Costituzione «Regimini
Ecclesiae»: «Cercare il metodo e le vie per aprire un dialogo adatto con i non cristiani. Esso opera
quindi perché i non cristiani vengano rettamente conosciuti e giustamente stimati dai cristiani e che
a loro volta i non cristiani possano adeguatamente conoscere e stimare la dottrina e la vita
cristiana» (AAS 59, 1967, pp. 919-920).
su un’esperienza ventennale
5. A 20 anni dalla pubblicazione dell’Ecclesiam suam e dalla sua fondazione, il Segretariato, riunito
in Assemblea Plenaria, ha valutato le esperienze di dialogo avvenute ovunque nella Chiesa ed ha
riflettuto sugli atteggiamenti ecclesiali verso gli altri credenti e in particolare sul rapporto esistente
tra dialogo e missione.
offre un documento
6. La visione teologica di questo documento si ispira al Concilio Vaticano Il e al magistero
successivo, Un ulteriore approfondimento da parte dei teologi rimane pur sempre auspicabile e
necessario. Sollecitata e arricchita dall’esperienza, questa riflessione ha carattere prevalentemente
pastorale; intende favorire un comportamento evangelico nei confronti degli altri credenti con i
quali i cristiani convivono nella città, nel lavoro e nella famiglia.
per le comunità cristiane
7. Con questo documento ci si propone di aiutare le comunità cristiane e in particolare i loro
responsabili a vivere secondo le indicazioni del Concilio offrendo elementi di soluzione alle
difficoltà che possono nascere dalla compresenza nella missione dei compiti di evangelizzazione e
dialogo. I membri delle altre religioni potranno anche comprendere meglio come la Chiesa li vede e
come intende comportarsi con loro.
in spirito ecumenico
8.. Molte chiese cristiane hanno fatto esperienze simili nei confronti degli altri credenti. Il Consiglio
ecumenico delle Chiese è provvisto di un organismo per il «Dialogo con i popoli di altre Fedi e
ideologie» nell’ambito del dipartimento «Fede e Testimonianza». Con tale organismo il
Segretariato per i non cristiani intrattiene rapporti stabili e fraterni di consultazione e di
collaborazione.
I. MISSIONE
L’amore sorgente
9. Dio è amore (1 Gv 4, 8. 16). Il suo amore salvifico è stato rivelato e comunicato agli uomini in
Cristo ed è presente e attivo nel mondo attraverso lo Spirito Santo. La Chiesa deve essere il segno
vivo di questo amore in modo da renderlo norma di vita per tutti. Voluta da Cristo, la sua è una
missione di amore, perché in esso trova la sorgente, il fine e le modalità di esercizio (cfr. AG 2 – 5,
12; EN 26). Ogni aspetto e ogni attività della Chiesa devono quindi essere impregnati di carità
proprio per fedeltà a Cristo, che ha ordinato la missione e che continua ad animarIa e a renderla
possibile nella storia.
Per la Chiesa
10. La Chiesa, come il Concilio ha sottolineato, è popolo messianico, assemblea visibile e
comunità spirituale, popolo pellegrinante in cammino con tutta l’umanità con la quale condivide
l’esperienza. Deve essere lievito e anima della società per rinnovarla in Cristo e renderla famiglia
di Dio (Cfr. LG 9; GS 9, 40). «Questo popolo messianico ha per legge il nuovo precetto di amare
come Cristo stesso ci ha amati ed ha per fine il Regno di Dio che è già stato iniziato da Lui» (LG
9). «La Chiesa peregrinante è quindi per sua natura missionaria» (AG 2, cfr. 6, 35, 36). La
missionarietà è per ogni cristiano espressione normale della sua fede vissuta.
della missione
11. «Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un’azione tale, per cui essa
obbedendo all’ordine di Cristo e mossa dalla grazia e dalla carità dello Spirito Santo, si fa
pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli…» (AG 5). Questo compito è unico,
ma si esercita in modi diversi secondo le condizioni in cui la missione si esplica. «Tali condizioni
dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi o dagli uomini a cui la missione è indirizzata
… A qualsiasi condizione o stato debbono corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati …
Fine proprio di questa attività missionaria è l’evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in quei
popoli e gruppi, in cui non ha ancora messo radici» (AG 6). Altri passi dello stesso concilio
sottolineano che la missione della Chiesa è anche lavorare per l’estensione del Regno e dei suoi
valori tra tutti gli uomini (Cfr. LG 5, 9; 35; GS 39, 40-45, 91, 92; UR 2; DH 14; AA 5).
continuamente approfondita
12. I modi e gli aspetti differenti della missione sono stati globalmente delineati dal Concilio
Vaticano II. Atti e documenti del magistero ecclesiastico successivo, come il Sinodo dei Vescovi
sulla giustizia sociale (1971), quello dedicato all’evangelizzazione (1974) e alla catechesi (1977),
numerosi interventi di Paolo VI e di Giovanni Paolo Il e delle Conferenze episcopali dell’Asia,
dell’Africa e dell’America Latina, hanno sviluppato altri aspetti dell’insegnamento conciliare,
additando per esempio «come elemento essenziale della missione della Chiesa indissolubilmente
congiunto con essa» (RH 15), l’impegno in favore dell’uomo, della giustizia sociale, della libertà e
dei diritti umani e la riforma delle strutture sociali ingiuste.
realizzantesi in molteplici attività
13. La missione si presenta nella coscienza della Chiesa come una realtà unitaria ma complessa e
articolata. Se ne possono indicare gli elementi principali. La missione è costituita già dalla semplice
presenza e dalla testimonianza viva della vita cristiana (Cfr. EN 21), anche se si deve riconoscere
che «portiamo questo tesoro in vasi di creta» (2 Cor. 4, 7), e quindi il divario tra come il cristiano
esistenzialmente appare e ciò che afferma di essere è sempre incolmabile. Vi è poi l’impegno
concreto per il servizio agli uomini e tutta l’attività di promozione sociale e di lotta contro la povertà
e le strutture che la provocano. Vi è la vita liturgica, la preghiera e la contemplazione,
testimonianze eloquenti di un rapporto vivo e liberante con il Dio vivo e vero che ci chiama al suo
Regno e alla sua gloria (cfr. Atti 2, 42). Vi è il dialogo nel quale i cristiani incontrano i seguaci di
altre tradizioni religiose per camminare insieme verso la verità e collaborare in opere di interesse
comune. Vi è l’annuncio e la catechesi, quando si proclama la buona notizia del Vangelo e se ne
approfondiscono le conseguenze per la vita e la cultura. Tutto questo comprende l’arco della
missione.
compito di tutti
14. Ogni chiesa particolare è responsabile di tutta la missione. Anche ogni cristiano, in virtù della
fede e del battesimo, è chiamato a esercitarla in qualche misura tutta. Le esigenze delle situazioni,
la particolare posizione nel popolo di Dio e il carisma personale abilitano il cristiano ad esercitare
prevalentemente l’uno o l’altro aspetto di essa.
sull’esempio di Cristo
15. La vita di Gesù contiene tutti gli elementi della missione. Secondo i Vangeli, egli si presenta
con il silenzio, con l’azione, con la preghiera, con il dialogo e con l’annuncio. Il suo messaggio è
inscindibile dall’azione; annuncia Dio e il suo Regno non solo con le parole, ma anche con i fatti, e
con le opere che compie. Accetta la contraddizione, l’insuccesso e la morte; la sua vittoria passa
attraverso il dono della vita. Tutto in Lui è mezzo e via di rivelazione e di salvezza (Cfr. EN 6-12);
tutto è espressione del suo amore (Cfr. Gv 3, 16; 13, 1; 1 Gv. 4, 7-19). Così pure devono fare i
cristiani: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli,, se avrete amore gli uni per gli altri»
(Gv. 13, 35).
come la chiesa primitiva
16. Anche il Nuovo Testamento dà una immagine composita e differenziata della missione. C’è
una pluralità di servizi e di funzioni derivante da una varietà di carismi (cfr. 1 Cor. 12, 28-30; Ef. 4,
11-12; Rom. 12, 6-8). Lo stesso S. Paolo nota la particolarità della sua vocazione missionaria da
quando dichiara di «non essere stato mandato da Cristo a battezzare, ma ad annunciare il
Vangelo» (1 Cor. 1, 17). Per questo accanto agli «apostoli», ai «profeti», agli «evangelisti»,
troviamo quelli chiamati alle opere comunitarie e all’aiuto di chi soffre; vi sono i compiti delle
famiglie, dei mariti, delle mogli e dei figli; vi sono i doveri dei padroni e dei servi. Ciascuno ha un
compito di testimonianza particolare nella società. La prima lettera di Pietro dà ai cristiani viventi in
situazione di diaspora indicazioni che non cessano di sorprendere per la loro attualità. Giovanni
Paolo II indicava un passo di essa come «la regola d’oro nei rapporti dei cristiani con i loro
concittadini di fede diversa: Adorate il Signore Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rendere
ragione della speranza che c’è in voi, ma con amabiità e rispetto e coscienza buona » (1 Pt. 3, 15-
16) (Ankara, 29. 11. 1979).
e gli insigni missionari
17. Tra i molteplici esempi, nella storia della missione cristiana, sono significative le norme date da
S. Francesco, nella Regola non bollata (1221), ai frati che «per divina ispirazione vorranno andare
tra i saraceni…: Essi possono ordinare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi. Un modo
che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e
confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore,
annunzino la parola di Dio ».
Il nostro secolo ha visto sorgere e affermarsi soprattutto tra il mondo islamico l’esperienza di
Charles de Foucauld che esercitò la missione in un atteggiamento umile e silenzioso di unione con
Dio, di comunione con i poveri e di fraternità universale.
nel rispetto per la libertà
18. La missione si rivolge sempre all’uomo nel rispetto pieno della sua libertà, Per questo il
Concilio Vaticano lI mentre ha affermato la necessità e l’urgenza di annunciare Cristo «la luce della
vita con ogni fiducia e fortezza apostolica, fino alla effusione del sangue» se necessario (DH 14),
ha ribadito l’esigenza di promuovere e rispettare in ogni interlocutore una vera libertà, priva di
qualsiasi coercizione soprattutto nell’ambito religioso. «La verità infatti si deve ricercare nella
maniera propria alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, con libera ricerca con
l’aiuto di un insegnamento o di una istituzione, della comunicazione e del dialogo, in cui li uri
espongono agli altri la verità che hanno trovato o ritengono di avere trovato per aiutarsi
vicendevolmente nella ricerca della verità; alla verità conosciuta poi si deve aderire fermamente
con assenso personale» DH 3). Quindi «nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze, ci
si deve sempre astenere da ogni forma di azione che possa sembrare costrizione o persuasione
disonesta o non del tutto retta, specialmente quando si tratta di persone semplici o povere. Tale
modo di agire deve essere considerato un abuso del proprio diritto o lesione del diritto degli altri»
(DH 4).
e per la persona.
19. Il rispetto per ogni persona deve caratterizzare l’attività missionaria nel mondo odierno (Cfr. ES
77; AAS 1964, pp. 642-643; EN 79-80; RH 12). «L’uomo è la prima strada che la Chiesa deve
percorrere nel compimento della sua missione» (RHI 14). Questi valori, che la Chiesa continua ad
imparare da Cristo suo maestro, devono guidare il cristiano ad amare e rispettare tutto ciò che c’è
di buono nella cultura e nell’impegno religioso dell’altro. «Si tratta di rispetto per tutto ciò che in
ogni Uomo ha operato lo Spirito che soffia dove vuole» (RH 12; cfr, EN 79). La missione cristiana
non può mai discostarsi dall’amore e dal rispetto per gli altri e questo per noi cristiani evidenzia il
posto del dialogo nella missione.
II. DIALOGO
A) Fondamenti
20. Il dialogo non scaturisce da opportunismi tattici dell’ora, ma da ragioni che l’esperienza, la
riflessione, nonché le stesse difficoltà, hanno approfondito.
Fondato sulle esigenze personali e sociali
21. La Chiesa si apre al dialogo per fedeltà all’uomo. In ogni uomo e in ogni gruppo umano c’è
l’aspirazione e l’esigenza di essere considerati e di poter agire da soggetti responsabili, sia quando
si avverte il bisogno di ricevere, sia soprattutto quando si è consapevoli di possedere qualche cosa
da comunicare. Come sottolineano le scienze umane, nel dialogo interpersonale l’uomo fa
esperienza dei propri limiti, ma anche della possibilità di superarli; scopre che non possiede la
verità in modo perfetto e totale, ma che può camminare con fiducia verso di essa insieme agli altri.
La mutua verifica, la correzione reciproca, lo scambio fraterno dei rispettivi doni favoriscono una
maturità sempre più grande, che genera la comunione interpersonale. Le stesse esperienze e
visioni religiose possono essere purificate e arricchite in questo processo di confronto.
Questa dinamica dei rapporti umani spinge noi cristiani ad ascoltare e comprendere ciò che gli altri
credenti possono trasmetterci onde trarre profitto dai doni che Dio elargisce.
I cambiamenti socio culturali con le tensioni e difficoltà inerenti, l’interdipendenza accresciuta in
tutti i settori del convivere e della promozione umana, e in particolare le esigenze per la pace,
rendono oggi più urgente uno stile dialogico di rapporti.
radicato nella fede in Dio Padre
22. La Chiesa, tuttavia, si sente impegnata al dialogo soprattutto a motivo della sua fede. Nel
mistero trinitario la rivelazione ci fa intravvedere una vita di comunione e di interscambio.
In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo.
L’universo e la storia sono ricolmi dei suoi doni. Ogni realtà e ogni evento sono avvolti dal suo
amore. Nonostante il manifestarsi talora violento del male, nella vicenda di ogni uomo e di ogni
popolo è presente la forza della grazia che eleva e redime.
La Chiesa ha il compito di scoprire, portare alla luce, far maturare tutta la ricchezza che il Padre ha
nascosto nella creazione e nella storia, non solo per celebrare la gloria di Dio nella sua liturgia ma
anche per promuovere la circolazione tra tutti gli uomini dei doni del Padre.
nel Figlio unitosi ad ogni uomo
23. In Dio Figlio ci è data la Parola e la Sapienza in cui tutto è precontenuto e sussiste già prima
dei tempi. Cristo è il Verbo che illumina ogni uomo, perché in Lui si manifesta ad un tempo il
Mistero di Dio e il Mistero dell’uomo (Cfr. RH 8, 10, 11, 13). Egli è il Redentore presente con la
grazia in ogni incontro umano, per liberarci dal nostro egoismo e farci amare gli uni gli altri come
Egli ci ha amato.
«Ogni uomo – scrive Giovanni Paolo Il – senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo, e con
l’uomo, con ciascun uomo senza eccezione, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quel
uomo non è di ciò consapevole. Cristo per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo – ad ogni uomo
e a tutti gli uomini – luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione» (RH 14).
nello Spirito operante
24. In Dio Spirito Santo, la fede ci fa scorgere quella forza di vita, di movimento e di rigenerazione
perenne (cfr. LG 4) che agisce nella profondità delle coscienze, e accompagna il cammino segreto
dei cuori verso la Verità (cfr. GS 22). Spirito che opera anche «oltre i confini visibili del Corpo
Mistico…» (RH 6; cfr. LG 16; GS 22; AG 15); Spirito che anticipa e accompagna il cammino della
Chiesa, la quale, pertanto, si sente impegnata a discernere i segni della sua presenza, a seguirlo
dovunque Egli la conduca, e a servirlo come collaboratrice umile e discreta.
per la realizzazione del Regno
25. Il Regno di Dio è la mèta finale di tutti gli uomini. La Chiesa, che ne è «il germe e l’inizio» (LG
5, 9), è sollecitata ad intraprendere per prima questo cammino verso il Regno e a far avanzare
tutto il resto dell’umanità verso di Esso.
Questo impegno include la lotta e la vittoria sul male e sul peccato, incominciando sempre da se
stessi ed abbracciando il mistero della croce. La Chiesa così predispone al Regno fino al
conseguimento della comunione perfetta di tutti i fratelli in Dio. Cristo costituisce per la Chiesa e
per il mondo la garanzia che gli ultimi tempi sono già incominciati, che l’età finale della storia è già
fissata (Cfr. LG 48) e che perciò la Chiesa è abilitata e impegnata ad operare perché si attui il
progressivo compimento di tutte le cose in Cristo.
coltivando i germi
26. Questa visione ha indotto i Padri del Concilio Vaticano II ad affermare che nelle tradizioni
religiose non cristiane esistono «cose vere e buone» (OT 16), «cose preziose, religiose e umane»
(GS 92), «germi di contemplazione» (AG 18), «elementi di verità e di garanzia» (AG 9), «semi del
Verbo» (AG 11. 15) «raggi della verità che illumina tutti gli uomini» (NA 2). Secondo esplicite
indicazioni conciliari questi valori si trovano condensati nelle grandi tradizioni religiose dell’umanità.
Esse meritano perciò l’attenzione e la stima dei cristiani, e il loro patrimonio spirituale è un efficace
invito al dialogo (Cfr. NA 2. 3.; AG 11), non solo su elementi convergenti ma anche su quelli che
divergono.
in un dialogo sincero
27. II Vaticano Il ha potuto perciò trarre conseguenze di impegno concreto esprimendosi nei
termini seguenti: «Per dare fruttuosamente la testimonianza di Cristo essi (i cristiani) devono
stringere rapporti di stima e di amore con gli uomini del loro tempo, riconoscersi membra vive di
quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendere parte, attraverso il complesso delle relazioni
e degli affari dell’esistenza umana, alla vita culturale e sociale. Cosi devono conoscere bene le
tradizioni culturali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo
che in loro si nascondono … Come lo stesso Cristo … cosi i suoi discepoli devono conoscere gli
uomini tra i quali vivono, ed entrare in rapporto con essi per conoscere con un dialogo sincero e
paziente le ricchezze che Dio nella sua munificenza ha largito ai popoli. Al tempo stesso si sforzino
di illuminare tali ricchezze con la luce del Vangelo, di liberarle e riferirle al dominio di Dio
Salvatore» (AG 11; cfr. 41; AA 14. 29 etc.).
B) Forme di dialogo
28. L’esperienza di questi anni ha evidenziato la molteplicità dei modi con cui il dialogo si esplica.
Le principali forme tipiche qui elencate sono vissute in modo distinto oppure insieme con le altre.
Il dialogo della vita
29. Il dialogo è innanzitutto uno stile di azione, un’attitudine e uno spirito che guida la condotta.
Implica attenzione, rispetto e accoglienza verso l’altro, al quale si riconosce spazio per la sua
identità personale, per le sue espressioni, i suoi valori. Tale dialogo è la norma e lo stile necessari
di tutta la missione cristiana e di ogni parte di essa, si tratti della semplice presenza e
testimonianza, o del servizio, o dello stesso annuncio diretto (cfr. CIC 787 § 1). Una missione che
non fosse permeata da spirito dialogico andrebbe contro le esigenze della vera umanità e contro le
indicazioni del Vangelo.
per tutti
30. Ogni seguace di Cristo, in forza della sua vocazione umana e cristiana, è chiamato a vivere il
dialogo nella sua vita quotidiana, sia che si trovi in situazione di maggioranza, sia in condizione di
minoranza. Egli deve infondere il sapore evangelico in ogni ambiente in cui vive ed opera:
quello familiare, sociale, educativo, artistico, economico, politico ecc. Il dialogo si inserisce cosi nel
grande dinamismo della missione ecclesiale.
Il dialogo delle opere
31. Un ulteriore livello è il dialogo delle opere e della collaborazione per obiettivi di carattere
umanitario, sociale, economico e politico che tendano alla liberazione e alla promozione dell’uomo.
Ciò avviene spesso nelle organizzazioni locali, nazionali e internazionali, dove cristiani e seguaci di
altre religioni affrontano insieme i problemi del mondo per la collaborazione
32. Vastissimo può essere il campo della collaborazione. Riferendosi in particolare ai Musulmani il
Concilio Vaticano Il esorta a «dimenticare il passato» ed a «difendere e promuovere insieme, per
tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (NA 3; cfr. AG 11. 12. 15.
21…). Nello stesso senso si sono pronunciati Paolo VI specie nell’Ecclesiam Suam (AAS 56, 1964,
p. 655), e Giovanni Paolo II nei numerosi incontri con capi e rappresentanti delle diverse religioni. I
grandi problemi che travagliano l’umanità chiamano i cristiani a collaborare con gli altri credenti,
proprio in forza delle fedi rispettive.
Il dialogo di esperti
33. Di particolare interesse è il dialogo a livello di esperti, sia per confrontare, approfondire e
arricchire i rispettivi patrimoni religiosi, sia per applicarne le risorse ai problemi che si pongono
all’umanità nel corso della sua storia.
Tale dialogo avviene normalmente là dove l’interlocutore possiede già una sua visione del mondo
e aderisce a una religione che l’ispira ad agire. Si realizza più facilmente nelle società pluralistiche,
dove coesistono e talvolta si fronteggiano tradizioni e ideologie diverse.
per la comprensione
34. In questo confronto gli interlocutori conoscono e apprezzano reciprocamente i valori spirituali e
le categorie culturali, promovendo la comunione e la fratellanza tra gli uomini (cfr. NA 1). Il
cristiano poi collabora così alla trasformazione evangelica delle culture (cfr. EN 18-20, 63).
Il dialogo della esperienza religiosa
35. A un livello più profondo, uomini radicati nelle proprie tradizioni religiose possono condividere
le loro esperienze di preghiera, di contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della
ricerca dell’Assoluto. Questo tipo di dialogo diviene arricchimento vicendevole e cooperazione
feconda nel promuovere e preservare i valori e gli ideali spirituali più alti dell’uomo. Esso conduce
naturalmente a comunicarsi vicendevolmente le ragioni della propria fede e non si arresta di fronte
alle differenze talvolta profonde, ma si rimette con umiltà e fiducia a Dio, «che è più grande del
nostro cuore» (1 Gv. 3, 20). Il cristiano ha così l’occasione di offrire all’altro la possibilità di
sperimentare in maniera esistenziale i valori del Vangelo.
III. DIALOGO E MISSIONE
36. I rapporti tra dialogo e missione, sono molteplici. Ci soffermiamo su alcuni aspetti che nel
momento attuale hanno maggiore rilevanza, per le sfide e i problemi posti o per gli atteggiamenti
richiesti.
A) Missione e conversione
L’appello alla conversione
37. L’annuncio missionario, per il Concilio Vaticano Il, ha per fine la conversione: «Solo cosi i non
cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno, liberamente si convertiranno al Signore,
e sinceramente aderiranno a Lui… » (AG 13; CIC 787 § 2). Nel contesto del dialogo tra credenti di
fede diversa, non si può evitare di riflettere sul cammino spirituale della conversione.
Nel linguaggio biblico e cristiano, la conversione è il ritorno del cuore umile e contrito a Dio, con il
desiderio di sottomettergli più generosamente la propria vita (Cfr. AG 13). Tutti sono chiamati
costantemente a questa conversione. In questo processo può nascere la decisione di lasciare una
situazione spirituale o religiosa anteriore per dirigersi verso un’altra. Cosi per esempio da un
amore particolare il cuore può aprirsi a una carità universale, Ogni autentico appello di Dio comporta sempre un superamento di sé. Non c’è vita nuova senza
morte, come manifesta la dinamica del mistero pasquale (cfr. GS 22). Ed «ogni conversione è
opera della grazia, nella quale l’uomo deve pienamente ritrovare se stesso» (RH 12).
Nel rispetto delle coscienze
38. In questo processo di conversione prevale la legge suprema della coscienza perché «nessuno
deve essere obbligato ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire
in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso» (DH 3).
e dello Spirito vivificante
39. Nell’ottica cristiana, l’agente principale della conversione non è l’uomo, ma lo Spirito Santo. «È
Lui che spinge ad annunziare il Vangelo e che nell’intimo delle coscienze fa accogliere e
comprendete la parola della salvezza» (EN 75). È lui che guida il movimento dei cuori e fa nascere
l’atto di fede in Gesù il Signore (cfr. 1 Cor. 2. 4). Il Cristiano è semplice strumento e collaboratore
di Dio (Cfr. 1 Cor. 3. 9).
il desiderio mutuo di crescita
40. Anche nel dialogo, il cristiano normalmente nutre nel suo cuore il desiderio di condividere la
sua esperienza di Cristo col fratello di altra religione (cfr. Atti 26, 29; ES 46). È altrettanto naturale
che l’altro credente desideri qualcosa di simile.
B) Il dialogo per l’edificazione del Regno
Collaborazione al piano di Dio
41. Dio continua a riconciliare a Sé gli uomini attraverso lo Spirito. La Chiesa confida nella
promessa fattale da Cristo che lo Spirito la guiderà, nella storia, verso la pienezza della verità (cfr,
Gv. 16, 13). Per questo va incontro agli uomini, ai popoli e alle loro culture, conscia che ogni
comunità umana ha germi di bene e di verità e che Dio ha un disegno di amore per ogni nazione
(cfr. Atti 17, 26- 27). La Chiesa quindi vuole collaborare con tutti per la realizzazione di questo
disegno, valorizzando cosi tutte le ricchezze della sapienza infinita e multiforme di Dio, e
contribuendo alla evangelizzazione delle culture (cfr. EN 18-20).
Promozione della pace universale
42. «Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle
loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa
condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con
alacrità.
Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità
e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti
valori umani, benché non ne riconoscano ancora l’Autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa
e la perseguitano in diverse maniere.
Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati
a questa stessa vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e
dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del e mondo nella vera pace» (GS 92; Cfr. Messaggi
per la Giornata Mondiale della Pace di Paolo VI e Giovanni Paolo II).
nella speranza
43. Il dialogo diventa cosi sorgente di speranza e fattore di comunione nella reciproca
trasformazione. È lo Spirito Santo che guida la realizzazione del piano di Dio nella storia degli
individui e di tutta l’umanità, fino a quando i figli di Dio dispersi dal peccato saranno riuniti
nell’unità. (Cfr. Gv. 11, 52).
conforme alla pazienza di Dio
44. Dio solo conosce i tempi, Lui a cui niente è impossibile, Lui il cui misterioso e silenzioso Spirito
apre alle persone e ai popoli le vie del dialogo per superare le differenze razziali, sociali e religiose
e arricchirsi reciprocamente. Ecco dunque il tempo della pazienza di Dio nel quale opera la Chiesa
ed ogni comunità cristiana perché nessuno può obbligare Dio ad agire più in fretta di quanto ha
scelto di fare.
Ma davanti alla nuova umanità del terzo millennio, possa la Chiesa irradiare un cristianesimo
aperto per attendere nella pazienza che spunti il seme gettato nelle lacrime e nella fiducia (Cfr. Gc.
5, 7-8; Mc 4, 26-30).
Enchiridion Vaticanum 9/988-1031.
Discorso del Papa al termine della Riunione Plenaria del Segretariato
Il 3 marzo 1984
il Papa ha incontrato i membri dei Segretariato per i Non-Cristiani ai termine della riunione plenaria che
si è tenuta dal 27 febbraio al 3 marzo a Grottaferrata. Rispondendo all’indirizzo di omaggio del Pro-Presidente Mons.
Jean Jadot il Santo Padre ha pronunziato il seguente discorso.
Signori Cardinali!
Venerati Fratelli!
1. Sono lieto di incontrarmi con voi, al termine dei lavori della Riunione Plenaria, che vi ha
impegnati nello studio e nell’approfondimento del tema generale «Dialogo e Missione», proposto
dal Segretariato per i non Cristiani a venti anni dalla fondazione di cotesto Dicastero e della prima
Enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam, considerata giustamente la magna charta del dialogo nelle
sue varie forme. In questi anni è stato compiuto un lavoro ingente per «cercare il metodo e le vie al
fine di aprire un dialogo adatto con i non cristiani» (Regimini Ecclesiae, A.A.S. 59, p. 919).
Tra coloro che hanno collaborato alla realizzazione di questo progetto, ricordo il Cardinale
Pignedoli che, con i suoi contatti amichevoli, ha attirato la stima di membri di diverse religioni e ha
sostenuto iniziative adatte alle esigenze dei tempi. Un grazie sincero va pure al Pro-Presidente
Monsignor Jadot, che non cessa di promuovere opportuni incontri al fine di favorire il dialogo tra
appartenenti a religioni diverse.
2. A nessuno sfugge, infatti, l’importanza e la necessità che il dialogo interreligioso assume per
tutte le religioni e per tutti i credenti, chiamati oggi più che mai a collaborare affinché ogni uomo
raggiunga la sua méta trascendente e realizzi la sua crescita autentica, e aiuti le culture a salvare i
propri valori religiosi e spirituali, in presenza di rapidi cambiamenti sociali.
Il dialogo è fondamentale per la Chiesa, la quale è chiamata a collaborare al piano di Dio con i suoi
metodi di presenza, di rispetto e di amore verso tutti gli uomini (cf. Ad Gentes, 10-12; Ecclesiam
suam, 41-42; Redemptor hominis, 11-12): Per questo io stesso fin dalla prima Enciclica e poi nei
vari incontri con diverse personalità e, soprattutto, in occasione dei miei viaggi non ho cessato di
sottolineare l’importanza, le motivazioni e le finalità di tale dialogo. Per la Chiesa esso si fonda
sulla vita stessa di Dio uno e trino. Dio è padre di tutta la famiglia umana; Cristo ha unito a Sé ogni
uomo (Redemptor hominis, 13); lo Spirito opera in ogni uomo: perciò il dialogo si fonda anche
sull’amore per l’uomo in quanto tale, che è la via primaria e fondamentale della Chiesa (Redemptor
hominis, 14), e sul legame esistente tra cultura e le religioni professate dagli uomini.
Questo rapporto amichevole tra credenti di diverse religioni nasce dal rispetto e dall’amore per
l’altro, presuppone l’esercizio delle libertà fondamentali per praticare interamente la propria fede e
confrontarla con quella degli altri (Redemptor hominis, 12).
3. In questi anni l’esercizio del dialogo ha mostrato nuove vie ed esigenze. Innanzitutto le Chiese
particolari hanno allacciato rapporti sinceri e costruttivi con i credenti di altre religioni presenti nella
loro stessa cultura. Il Segretariato stesso è stato stimolo a tale sviluppo; esso deve continuare a
precisare ed approfondire una appropriata pastorale per le relazioni con i non cristiani, favorendo
lo scambio di idee e la riflessione. Le Chiese particolari, dal canto loro, devono impegnarsi in
questa direzione, aiutando tutti i fedeli a rispettare e stimare i valori, le tradizioni, e le convinzioni
degli altri credenti, e promuovere, allo stesso tempo, una solida e adatta formazione religiosa dei
cristiani stessi, perché sappiano dare una convinta testimonianza del grande dono della fede.
Nessuna Chiesa particolare è esente da questo dovere, reso urgente dai continui mutamenti. A
causa delle migrazioni, dei viaggi, delle comunicazioni sociali e delle scelte personali, i credenti di
diverse religioni e culti si incontrano facilmente e spesso vivono insieme. È necessaria quindi una
pastorale che promuova il rispetto, l’accoglienza, la testimonianza, affinché i valori spirituali
animino le nostre società tentate dall’egoismo, dall’ateismo e dal materialismo. Per promuovere
tale pastorale è quanto mai opportuno costituire in seno ad ogni Conferenza dei Vescovi una
commissione speciale.
4. L’esperienza dimostra anche che il dialogo si realizza in molteplici forme. Non c’è solo il campo
dottrinale, pur tanto importante per una comprensione profonda, ma anche quello dei rapporti
quotidiani tra i credenti che sono chiamati al rispetto reciproco e alla conoscenza comune. Il
dialogo di vita infatti favorisce la coesistenza pacifica e la collaborazione per una società più
giusta, affinché l’uomo cresca nell’essere e non solo nell’avere. In questo campo la famiglia merita
una particolare attenzione. Tali frequenti rapporti domestici permettono di conoscere le persone
nella loro storia e nei loro valori e di confrontarle con il Vangelo. Nella coerenza con la propria
Fede è possibile anche condividere, confrontare, arricchire le esperienze spirituali e le forme di
preghiera, come vie di incontro con Dio.
Tutti i cristiani sono chiamati al dialogo. Se la specializzazione di alcuni è di grande utilità, l’apporto
di altri è un contributo notevole. Penso in particolare al dialogo intermonastico e di altri movimenti,
gruppi e istituzioni. Per tutti è necessaria una preparazione adeguata e un approfondimento
costante della propria identità ecclesiale.
Il dialogo con i non cristiani può essere anche una via per realizzare l’unità tra le chiese cristiane,
animate dallo stesso amore di Cristo. La mutua collaborazione in questo campo è resa visibile
dalla partecipazione a codesta Plenaria dallo stesso direttore del corrispondente sottogruppo del
Consiglio Mondiale delle Chiese. Ma il dialogo non è cosa facile. La stessa religione può essere
strumentalizzata e diventare pretesto di polarizzazione e di divisione. Nell’attuale situazione del
mondo, fare il dialogo significa imparare a perdonare, dal momento che tutte le comunità religiose
possono rinfacciare eventuali torti subiti lungo i secoli. Significa cercare di capire il cuore degli altri,
il che è particolarmente difficile quando non esiste una intesa. Significa, innanzitutto, mettersi al
servizio dell’umanità intera e dell’unico Dio. Non bisogna fermarsi ai facili o apparenti risultati.
Questo impegno nasce dalle virtù teologali e cresce con esse.
5. Il tema della vostra Plenaria sul rapporto tra «Missione e Dialogo» è quanto mai importante. La
vostra esperienza pastorale e la vostra comune riflessione, carissimi Membri del Segretariato,
hanno certamente aiutato a chiarire i legami e i rapporti tra missione e dialogo e ad indicare
orientamenti pastorali adatti. Vorrei sottolineare soltanto alcuni aspetti.