LETTERA ENCICLICA
DEL SOMMO PONTEFICE
PAOLO PP. VI
ECCLESIAM SUAM
PER QUALI VIE LA CHIESA CATTOLICA DEBBA
OGGI ADEMPIRE IL SUO MANDATO
Lettera Enciclica ai Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi
ed altri Ordinari del luogo, aventi pace e comunione con la Sede Apostolica,
al clero e ai fedeli di tutto il mondo e a tutti gli uomini di buona volontà.
ESTRATTI
VENERABILI FRATELLI, DILETTI FIGLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
8. Noi vogliamo infatti soltanto, con questo Nostro scritto, compiere il Nostro dovere di aprire a voi l’animo Nostro, con l’intenzione di dare alla comunione di fede e di carità, che beatamente intercede fra noi, maggiore coesione, maggiore gaudio, allo scopo di rinvigorire il nostro ministero, di meglio attendere alle fruttuose celebrazioni del Concilio Ecumenico stesso, e di dare maggiore chiarezza ad alcuni criteri dottrinali e pratici, che possono utilmente guidare l’attività spirituale ed apostolica della Gerarchia ecclesiastica e di quanti le prestano obbedienza e collaborazione, o anche solo benevola attenzione.
9. Vi diremo subito, Venerabili Fratelli, che tre sono i pensieri, che vanno agitando l’animo Nostro quando consideriamo l’altissimo ufficio, che la Provvidenza, contro i Nostri desideri ed i Nostri meriti, Ci ha voluto affidare di reggere la Chiesa di Cristo, nella Nostra funzione di Vescovo di Roma, e perciò di Successore del beato Apostolo Pietro, gestore delle chiavi del regno dei cieli e Vicario di quel Cristo che fece di Pietro il primo Pastore del suo gregge universale.
10. Il pensiero che sia questa l’ora in cui la Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio, esplorare a propria istruzione ed edificazione la dottrina, già a lei nota e già in questo ultimo secolo enucleata e diffusa, sopra la propria origine, la propria natura, la propria missione, la propria sorte finale, ma dottrina non mai abbastanza studiata e compresa, come quella che contiene il piano provvidenziale del mistero nascosto da secoli in Dio… affinché sia manifestato… per mezzo della Chiesa,(2) misteriosa riserva cioè dei misteriosi disegni divini che mediante la Chiesa vengono notificati; e come quella che costituisce oggi il tema più d’ogni altro interessante la riflessione di chi vuol essere docile seguace di Cristo, e tanto più di chi, come Noi e come voi, Venerabili Fratelli, lo Spirito Santo ha posto quali Vescovi a reggere la Chiesa di Dio.(3)
11. Deriva da questa illuminata ed operante coscienza uno spontaneo desiderio di confrontare l’immagine ideale della Chiesa, quale Cristo vide, volle ed amò, come sua Sposa santa ed immacolata(4) e il volto reale, quale oggi la Chiesa presenta, fedele, per grazia divina, ai lineamenti che il suo divin Fondatore le impresse e che lo Spirito Santo vivificò e sviluppò nel corso dei secoli in forma più ampia e più rispondente al concetto iniziale da un lato, all’indole della umanità ch’essa andava evangelizzando e assumendo dall’altro; ma non mai abbastanza perfetto, abbastanza venusto, abbastanza santo e luminoso, come quel divino concetto informatore lo vorrebbe.
12. E deriva perciò un bisogno generoso e quasi impaziente di rinnovamento, di emendamento cioè dei difetti, che quella coscienza, quasi un esame interiore allo specchio del modello che Cristo di sé ci lasciò, denuncia e rigetta. Quale sia cioè il dovere odierno della Chiesa di correggere i difetti dei propri membri e di farli tendere a maggior perfezione, e quale il metodo per giungere con saggezza a tanto rinnovamento, è il secondo pensiero che occupa il Nostro spirito e che vorremmo a voi manifestare per trovare non solo maggiore coraggio a intraprendere le dovute riforme, ma per avere altresì dalla vostra adesione consiglio ed appoggio in così delicata e difficile impresa.
13. Terzo pensiero Nostro, e vostro certamente, sorgente dai primi due sopra enunciati, è quello delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo che la circonda ed in cui essa vive e lavora.
14. Una parte di questo mondo, come ognuno sa, ha subito profondamente l’influsso del cristianesimo e l’ha assorbito intimamente più che spesso non si avveda d’esser debitore delle migliori sue cose al cristianesimo stesso, ma poi s’è venuto distinguendo e staccando, in questi ultimi secoli, dal ceppo cristiano della sua civiltà; e un’altra parte e la maggiore di questo mondo, si dilata agli sconfinati orizzonti dei popoli nuovi, come si dice; ma tutto insieme è un mondo che non una, ma cento forme di possibili contatti offre alla Chiesa, aperti e facili alcuni, delicati e complicati altri, ostili e refrattari ad amico colloquio purtroppo oggi moltissimi.
15. Si presenta cioè il problema, così detto, del dialogo fra la Chiesa ed il mondo moderno. È problema questo che tocca al Concilio descrivere nella sua vastità e complessità, e risolvere, per quanto è possibile, nei termini migliori. Ma la sua presenza, la sua urgenza sono tali da costituire un peso nell’animo Nostro, uno stimolo, una vocazione quasi, che vorremmo a Noi stessi ed a voi, Fratelli, sicuramente non meno di Noi esperti del suo tormento apostolico, in qualche modo chiarire, quasi per renderci idonei alle discussioni e alle deliberazioni che nel Concilio insieme crederemo di prospettare in così grave e multiforme materia.
Assiduo e illimitato zelo per la pace
16. Voi certamente avvertirete che questo sommario disegno della Nostra Enciclica non contempla la trattazione di tutti i temi urgenti e gravi che interessano non solo la Chiesa ma l’umanità, quali la pace fra i popoli e fra le classi sociali, la miseria e la fame che tuttora affliggono intere popolazioni, l’ascesa di giovani nazioni all’indipendenza e al progresso civile, le correnti del pensiero moderno e la cultura cristiana, le condizioni infelici di tanta gente e di tante porzioni della Chiesa a cui sono contestati i diritti propri di cittadini liberi e di persone umane, i problemi morali circa la natalità, e così via.
17. Alla grande e universale questione della pace nel mondo Noi diciamo fin d’ora che Ci sentiremo particolarmente obbligati a rivolgere non solo la Nostra vigilante e cordiale attenzione, ma l’interessamento altresì più assiduo ed efficace, contenuto, sì, nell’ambito del Nostro ministero ed estraneo perciò ad ogni interesse puramente temporale e alle forme propriamente politiche, ma premuroso di contribuire alla educazione dell’umanità a sentimenti ed a procedimenti contrari ad ogni violento e micidiale conflitto, e favorevoli ad ogni civile e razionale pacifico regolamento dei rapporti fra le nazioni; e sollecito parimenti di assistere, con la proclamazione dei principi umani superiori, che possano giovare a temperare gli egoismi e le passioni donde scaturiscono gli scontri bellici, l’armonica convivenza e la fruttuosa collaborazione fra i popoli; e d’intervenire, ove l’opportunità ci sia offerta, per coadiuvare le parti contendenti a onorevoli e fraterne soluzioni. Non dimentichiamo infatti essere questo amoroso servizio un dovere che la maturazione delle dottrine da un lato, delle istituzioni internazionali dall’altro rende oggi più urgente nella coscienza della nostra missione cristiana nel mondo, ch’è pur quella di rendere fratelli gli uomini, in virtù appunto del regno di giustizia e di pace, inaugurato dalla venuta di Cristo nel mondo.
…
III. IL DIALOGO
60. Vi è un terzo atteggiamento che la Chiesa cattolica deve assumere in quest’ora della storia del mondo, ed è quello caratterizzato dallo studio dei contatti ch’essa deve tenere con l’umanità. Se la Chiesa acquista sempre più chiara coscienza di sé, e se essa cerca di modellare se stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall’ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina.
61. Il Vangelo ci fa avvertire tale distanza e tale distinzione quando ci parla del mondo, dell’umanità cioè avversa al lume della fede e al dono della grazia; dell’umanità, che si esalta in un ingenuo ottimismo credendo bastino a se stessa le proprie forze per dare di sé espressione piena, stabile e benefica; ovvero dell’umanità, che si deprime in un crudo pessimismo dichiarando fatali, inguaribili e fors’anche appetibili come manifestazioni di libertà e di autenticità i propri vizi, le proprie debolezze, le proprie morali infermità. Il Vangelo, che conosce e denuncia e compatisce e guarisce le umane miserie con penetrante e talora straziante sincerità, non cede tuttavia né all’illusione della bontà naturale dell’uomo quasi a sé sufficiente e di null’altro bisognoso che d’essere lasciato libero di effondersi arbitrariamente, né alla disperata rassegnazione alla corruzione insanabile dell’umana natura. Il Vangelo è luce, è novità, è energia, è rinascita, è salvezza. Perciò genera e distingue una forma di vita nuova, della quale il Nuovo Testamento ci dà continua e mirabile lezione: Non vogliate conformarvi a questo mondo; trasformatevi e rinnovatevi invece nella mente per saper discernere qual è la volontà di Dio: quello che è buono, che piace a Lui ed è perfetto(38) ci ammonisce san Paolo.
62. Questa diversità della vita cristiana dalla vita profana deriva ancora dalla realtà e dalla conseguente coscienza della giustificazione prodotta in noi dalla nostra comunicazione col mistero pasquale, con il santo Battesimo innanzitutto, come sopra dicevamo, che è e dev’essere considerato una vera rigenerazione. Ancora san Paolo ce lo ricorda: …tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte. Fummo, infatti, col battesimo, sepolti con lui nella morte, affinché, come Cristo fu risuscitato da morte dalla potenza gloriosa del Padre, così noi pure vivessimo di una vita nuova.(39)
Vivere nel mondo ma non del mondo
63. Sarà opportunissima cosa che anche il cristiano d’oggi abbia sempre presente questa sua originale e mirabile forma di vita, che lo sostenga nel gaudio della sua dignità e che lo immunizzi dal contagio dell’umana miseria circostante, o dalla seduzione dell’umano splendore parimenti circostante.
64. Ecco come san Paolo medesimo educava i cristiani della prima generazione: Non unitevi a un giogo sconveniente con gli infedeli; poiché che cosa ha a che fare la giustizia coll’iniquità? e che comunanza v’è tra la luce e le tenebre?… che rapporto tra il fedele e l’infedele?(40) La pedagogia cristiana dovrà ricordare sempre all’alunno dei tempi nostri questa sua privilegiata condizione e questo suo conseguente dovere di vivere nel mondo ma non del mondo, secondo il voto stesso sopra ricordato di Gesù a riguardo dei suoi discepoli: Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.(41) E la Chiesa fa proprio tale voto.
65. Ma questa distinzione non è separazione. Anzi non è indifferenza, non è timore, non è disprezzo. Quando la Chiesa si distingue dall’umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge. Come il medico, che, conoscendo le insidie d’una pestilenza, cerca di guardare sé e gli altri da tale infezione, ma nello stesso tempo si consacra alla guarigione di coloro che ne sono colpiti, così la Chiesa non fa della misericordia a lei concessa dalla bontà divina un esclusivo privilegio, non fa della propria fortuna una ragione per disinteressarsi di chi non l’ha conseguita; sì bene della sua salvezza fa argomento d’interesse e di amore per chiunque le sia vicino e per chiunque, nel suo sforzo comunicativo universale, le sia possibile avvicinare.
Missione da compiere, annuncio da diffondere
66. Se davvero la Chiesa, come dicevamo, ha coscienza di ciò che il Signore vuole ch’ella sia, sorge in lei una singolare pienezza e un bisogno di effusione, con la chiara avvertenza d’una missione che la trascende, d’un annuncio da diffondere. È il dovere dell’evangelizzazione. È il mandato missionario. È l’ufficio apostolico. Non è sufficiente un atteggiamento di fedele conservazione. Certo, il tesoro di verità e di grazia, a noi venuto in eredità dalla tradizione cristiana, dovremo custodirlo, anzi dovremo difenderlo. Custodisci il deposito,(42) ammonisce san Paolo. Ma né la custodia, né la difesa esauriscono il dovere della Chiesa rispetto ai doni che essa possiede. Il dovere congeniale al patrimonio ricevuto da Cristo è la diffusione, è l’offerta, è l’annuncio, ben lo sappiamo: Andate, dunque, istruite tutte le genti,(43) è l’estremo mandato di Cristo ai suoi Apostoli. Questi nel nome stesso di Apostoli definiscono la propria indeclinabile missione. Noi daremo a questo interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità, il nome, oggi diventato comune, di dialogo.
Il dialogo
67. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio.
68. Questo capitale aspetto della vita odierna della Chiesa sarà oggetto di speciale ed ampio studio da parte del Concilio Ecumenico, come è noto; e Noi non vogliamo entrare nell’esame concreto dei temi che tale studio si propone per lasciare ai Padri del Concilio il compito di trattarli liberamente. Noi vogliamo soltanto invitarvi, Venerabili Fratelli, a premettere a tale studio alcune considerazioni, affinché ci siano più chiari i motivi che spingono la Chiesa al dialogo, più chiari i metodi da seguire, più chiari i fini da conseguire. Vogliamo disporre gli animi, non trattare le cose.
69. Né possiamo fare altrimenti, nella convinzione che il dialogo debba caratterizzare il Nostro ufficio Apostolico, credi come siamo d’un tale stile, d’un tale indirizzo pastorale che Ci è tramandato dai Nostri Predecessori dell’ultimo secolo, a partire dal grande e sapiente Leone XIII, il quale, quasi impersonando la figura evangelica dello scriba sapiente …che come un padre di famiglia cava dal suo tesoro cose antiche e cose nuove,(44) riprendeva maestosamente l’esercizio del magistero cattolico facendo oggetto del suo ricchissimo insegnamento i problemi del nostro tempo considerati alla luce della parola di Cristo. Così i suoi successori, come sapete.
70. Non ci lasciarono i Nostri Predecessori, specialmente Pio XI e Pio XII, un patrimonio magnifico e amplissimo di dottrina, concepita nell’amoroso e sapiente tentativo di congiungere il pensiero divino al pensiero umano, non astrattamente considerato, ma concretamente espresso nel linguaggio dell’uomo moderno? E che cos’è questo apostolico tentativo se non un dialogo? E non diede Giovanni XXIII, Nostro immediato Predecessore di venerata memoria, un’accentuazione anche più marcata al suo insegnamento nel senso di accostarlo quanto più possibile all’esperienza e alla comprensione del mondo contemporaneo? Al Concilio stesso non s’è voluto dare, e giustamente, uno scopo pastorale, tutto rivolto all’inserimento del messaggio cristiano nella circolazione di pensiero, di parole, di cultura, di costume, di tendenze dell’umanità, quale oggi vive e si agita sulla faccia della terra? Ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli.
71. Per quanto riguarda l’umile Nostra persona, sebbene alieni di parlarne e desiderosi di non attirare su di essa l’altrui attenzione, non possiamo, in questa Nostra intenzionale presentazione al collegio episcopale e al popolo cristiano, tacere il Nostro proposito di perseverare, per quanto le nostre deboli forze ce lo concederanno e, soprattutto, la divina grazia Ci darà modo di farlo, nella medesima linea, nel medesimo sforzo di avvicinare il mondo, nel quale la Provvidenza Ci ha destinati a vivere, con ogni riverenza, con ogni premura, con ogni amore, per comprenderlo, per offrirgli i doni di verità e di grazia di cui Cristo Ci ha resi depositari, per comunicargli la nostra meravigliosa sorte di Redenzione e di speranza. Sono profondamente scolpite nel Nostro spirito le parole di Cristo, di cui umilmente, ma tenacemente, ci vorremmo appropriare: Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché sia salvato per mezzo di lui.(45)
La religione dialogo fra Dio e l’uomo
72. Ecco, Venerabili Fratelli, l’origine trascendente del dialogo. Essa si trova nell’intenzione stessa di Dio. La religione è di natura sua un rapporto tra Dio e l’uomo. La preghiera esprime a dialogo tale rapporto. La rivelazione, cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l’iniziativa di instaurare con la umanità, può essere raffigurata in un dialogo, nel quale il Verbo di Dio si esprime nell’Incarnazione e quindi nel Vangelo. Il colloquio paterno e santo, interrotto tra Dio e l’uomo a causa del peccato originale, è meravigliosamente ripreso nel corso della storia. La storia della salvezza narra appunto questo lungo e vario dialogo che parte da Dio, e intesse con l’uomo varia e mirabile conversazione. È in questa conversazione di Cristo fra gli uomini(46) che Dio lascia capire qualche cosa di Sé, il mistero della sua vita, unicissima nell’essenza, trinitaria nelle Persone; e dice finalmente come vuol essere conosciuto; Amore Egli è; e come vuole da noi essere onorato e servito: amore è il nostro comandamento supremo. Il dialogo si fa pieno e confidente; il fanciullo vi è invitato, il mistico vi si sazia.
Superiori caratteristiche del colloquio della salvezza
73. Bisogna che noi abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto dialogico, offerto e stabilito con noi da Dio Padre, mediante Cristo, nello Spirito Santo, per comprendere quale rapporto noi, cioè la Chiesa, dobbiamo cercare d’instaurare e di promuovere con l’umanità.
74. Il dialogo della salvezza fu aperto spontaneamente dalla iniziativa divina: Egli (Dio) per primo ci ha amati:(47) toccherà a noi prendere l’iniziativa per estendere agli uomini il dialogo stesso, senza attendere d’essere chiamati.
75. Il dialogo della salvezza partì dalla carità, dalla bontà divina: Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figliuolo unigenito:(48) non altro che amore fervente e disinteressato dovrà muovere il nostro.
76. Il dialogo della salvezza non si commisurò ai meriti di coloro a cui era rivolto, e nemmeno ai risultati che avrebbe conseguito o che sarebbero mancati; non hanno bisogno del medico i sani: (49) anche il nostro dev’essere senza limiti e senza calcoli.
77. Il dialogo della salvezza non obbligò fisicamente alcuno ad accoglierlo; fu una formidabile domanda d’amore, la quale, se costituì una tremenda responsabilità in coloro a cui fu rivolta,(50) li lasciò tuttavia liberi di corrispondervi o di rifiutarla, adattando perfino la quantità dei segni(51) alle esigenze e alle disposizioni spirituali dei suoi uditori e la forza probativa dei segni medesimi,(52) affinché fosse agli uditori stessi facilitato il libero consenso alla divina rivelazione, senza tuttavia perdere il merito di tale consenso. Così la Nostra missione, anche se è annuncio di verità indiscutibile e di salute necessaria, non si presenterà armata di esteriore coercizione, ma solo per le vie legittime dell’umana educazione, dell’interiore persuasione, della comune conversazione offrirà il suo dono di salvezza, sempre nel rispetto della libertà personale e civile.
78. Il dialogo della salvezza fu reso possibile a tutti; a tutti senza discriminazione alcuna destinato;(53) il nostro parimenti dev’essere potenzialmente universale, cattolico cioè e capace di annodarsi con ognuno, salvo che l’uomo assolutamente non lo respinga o insinceramente finga di accoglierlo.
79. Il dialogo della salvezza ha conosciuto normalmente delle gradualità, degli svolgimenti successivi,(54) degli umili inizi prima del pieno successo; anche il nostro avrà riguardo alle lentezze della maturazione psicologica e storica e all’attesa dell’ora in cui Dio lo renda efficace. Non per questo il nostro dialogo rimanderà al domani ciò che oggi può compiere; esso deve avere l’ansia dell’ora opportuna e il senso della preziosità del tempo.(55) Oggi, cioè ogni giorno, deve ricominciare; e da noi prima che da coloro a cui è rivolto.
Il messaggio cristiano nella circolazione dell’umano discorso
80. Com’è chiaro, i rapporti fra la Chiesa ed il mondo possono assumere molti aspetti e diversi fra loro. Teoricamente parlando, la Chiesa potrebbe prefiggersi di ridurre al minimo tali rapporti, cercando di sequestrare se stessa dal commercio della società profana; come potrebbe proporsi di rilevare i mali che in essa possono riscontrarsi, anatemitizzandoli e movendo crociate contro di essi; potrebbe invece tanto avvicinarsi alla società profana da cercare di prendervi influsso preponderante o anche di esercitarvi un dominio teocratico; e così via. Sembra a Noi invece che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all’indole dell’interlocutore e delle circostanze di fatto (altro è infatti il dialogo con un fanciullo ed altro con un adulto; altro con un credente ed altro con un non credente). Ciò è suggerito: dall’abitudine ormai diffusa di così concepire le relazioni fra il sacro e il profano, dal dinamismo trasformatore della società moderna, dal pluralismo delle sue manifestazioni, nonché dalla maturità dell’uomo, sia religioso che non religioso, fatto abile dall’educazione civile a pensare, a parlare, a trattare con dignità di dialogo.
81. Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la vanità d’inutile conversazione. Se certo non mira ad ottenere immediatamente la conversione dell’interlocutore, perché rispetta la sua dignità e la sua libertà, mira tuttavia al di lui vantaggio, e vorrebbe disporlo a più piena comunione di sentimenti e di convinzioni.
82. Suppone pertanto il dialogo uno stato d’animo in noi, che intendiamo introdurre e alimentare con quanti ci circondano: lo stato d’animo di chi sente dentro di sé il peso del mandato apostolico, di chi avverte di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi si studia continuamente di mettere il messaggio, di cui è depositario, nella circolazione dell’umano discorso.
Chiarezza mitezza fiducia prudenza
83. Il colloquio è perciò un modo d’esercitare la missione apostolica; è un’arte di spirituale comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti. La chiarezza innanzi tutto; il dialogo suppone ed esige comprensibilità, è un travaso di pensiero, è un invito all’esercizio delle superiori facoltà dell’uomo; basterebbe questo suo titolo per classificarlo fra i fenomeni migliori dell’attività e della cultura umana; e basta questa sua iniziale esigenza per sollecitare la nostra premura apostolica a rivedere ogni forma del nostro linguaggio: se comprensibile, se popolare, se eletto. Altro carattere è poi la mitezza, quella che Cristo ci propose d’imparare da Lui stesso: Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore;(56) il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso. La fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell’attitudine ad accoglierla da parte dell’interlocutore: promuove la confidenza e l’amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico.
84. La prudenza pedagogica infine, la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta:(57) se bambino, se incolto, se impreparato, se diffidente, se ostile; e si studia di conoscere la sensibilità di lui, e di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione per non essergli ingrato e incomprensibile.
85. Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore.
Dialettica di autentica sapienza
86. Nel dialogo si scopre come diverse sono le vie che conducono alla luce della fede, e come sia possibile farle convergere allo stesso fine. Anche se divergenti, possono diventare complementari, spingendo il nostro ragionamento fuori dei sentieri comuni e obbligandolo ad approfondire le sue ricerche, a rinnovare le sue espressioni. La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni altrui, ci obbligherà ad esprimere con grande lealtà il nostro insegnamento e ci darà merito per la fatica d’averlo esposto all’altrui obiezione, all’altrui lenta assimilazione. Ci farà sapienti, ci farà maestri.
87. E quale è la sua forma di esplicazione?
88. Oh! molteplici sono le forme del dialogo della salvezza. Esso obbedisce a esigenze sperimentali, sceglie i mezzi propizi, non si lega a vani apriorismi, non si fissa in espressioni immobili, quando queste avessero perduto virtù di parlare e di muovere gli uomini.
89. Qui si pone una grande questione, quella dell’aderenza della missione della Chiesa alla vita degli uomini in un dato tempo, in un dato luogo, in una data cultura, in una data situazione sociale.
Come avvicinare i fratelli nella interezza della verità
90. Fino a quale grado la Chiesa deve uniformarsi alle circostanze storiche e locali in cui svolge la sua missione? Come deve premunirsi dal pericolo d’un relativismo che intacchi la sua fedeltà dogmatica e morale? Ma come insieme farsi idonea a tutti avvicinare per tutti salvare, secondo l’esempio dell’Apostolo: Mi son fatto tutto a tutti, perché tutti io salvi?(58) Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremo ricordare e studiarci di praticare secondo l’esempio e il precetto che Cristo ci lasciò.(59)
91. Ma il pericolo rimane. L’arte dell’apostolato è rischiosa. La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in una attenuazione, in una diminuzione della verità. Il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno verso la nostra fede. L’apostolato non può transigere con un compromesso ambiguo rispetto ai principi di pensiero e di azione che devono qualificare la nostra professione cristiana. L’irenismo e il sincretismo sono in fondo forme di scetticismo rispetto alla forza e al contenuto della Parola di Dio, che vogliamo predicare. Solo chi è pienamente fedele alla dottrina di Cristo può essere efficacemente apostolo.
92. E solo chi vive in pienezza la vocazione cristiana può essere immunizzato dal contagio di errori con cui viene a contatto.
Supremazia insostituibile della predicazione
93. Noi pensiamo che la voce del Concilio, trattando delle questioni relative alla Chiesa operante nel mondo moderno, indicherà alcuni criteri teorici e pratici, che serviranno da guida per bene condurre il nostro dialogo con gli uomini del tempo nostro. E pensiamo parimenti che, trattandosi di questione riguardante, da un lato, la missione propriamente apostolica della Chiesa, e concernente, dall’altro, le varie e mutevoli circostanze in cui essa si svolge, sarà opera del saggio e attivo governo della Chiesa stessa tracciare di volta in volta limiti e forme e sentieri per la continua animazione d’un dialogo vivo e benefico.
94. Lasciamo perciò questo tema per limitarci a ricordare ancora una volta la somma importanza che la predicazione cristiana conserva, ed assume oggi maggiormente, nel quadro dell’apostolato cattolico, e cioè, per quanto ora ci riguarda, del dialogo. Nessuna forma di diffusione del pensiero, anche se tecnicamente assurta, con la stampa e con i mezzi audiovisivi, a straordinaria potenza, la sostituisce. Apostolato e predicazione, in un certo senso, si equivalgono. La predicazione è il primo apostolato. Il nostro, Venerabili Fratelli, è innanzi tutto ministero della Parola. Noi sappiamo benissimo queste cose; ma Ci sembra convenga ora ricordarle a noi stessi, per dare alla nostra azione pastorale la giusta direzione. Dobbiamo ritornare allo studio non già dell’umana eloquenza, o della vana retorica, ma della genuina arte della parola sacra.
95. Dobbiamo cercare le leggi della sua semplicità, della sua limpidezza, della sua forza e della sua autorità per vincere la naturale imperizia nell’impiego di così alto e misterioso strumento spirituale, qual è la parola, e per gareggiare nobilmente con quanti oggi hanno larghissimo influsso con la parola mediante l’accesso alle tribune della pubblica opinione. Dobbiamo domandarne al Signore stesso il grave e inebriante carisma,(60) per essere degni di dare alla fede il suo pratico efficace principio,(61) e di far giungere il nostro messaggio fino ai confini della terra.(62) Che le prescrizioni della Costituzione conciliare sulla sacra Liturgia circa il ministero della parola trovino in noi zelanti ed abili esecutori. E che la catechesi al popolo cristiano e a quanti altri sia possibile offrirla diventi sempre esperta nel linguaggio, sapiente nel metodo, assidua nell’esercizio, suffragata dalla testimonianza di virtù reali, avida di progredire e di far giungere gli uditori alla sicurezza della fede, all’intuizione della coincidenza fra la Parola divina e la vita, e agli albori del Dio vivente.
96. Noi dovremmo infine accennare a coloro a cui si rivolge il nostro dialogo. Ma non vogliamo prevenire, anche sotto questo aspetto, la voce del Concilio. Essa si farà udire, a Dio piacendo, tra poco.
Con chi il dialogo
97. Parlando in generale circa questo atteggiamento di collocutrice, che la Chiesa cattolica oggi deve assumere con rinnovato fervore, vogliamo semplicemente accennare che essa dev’essere pronta a sostenere il dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, dentro e fuori l’ambito suo proprio.
98. Nessuno è estraneo al suo cuore. Nessuno è indifferente per il suo ministero. Nessuno le è nemico, che non voglia egli stesso esserlo. Non indarno si dice cattolica; non indarno è incaricata di promuovere nel mondo l’unità, l’amore, la pace.
99. La Chiesa non ignora le formidabili dimensioni d’una tale missione; conosce le sproporzioni delle statistiche fra ciò che essa è e ciò ch’è la popolazione della terra; conosce i limiti delle sue forze; conosce perfino le proprie umane debolezze, i propri falli; conosce anche che l’accoglimento del Vangelo non dipende, alla fine, da alcuno suo sforzo apostolico, da alcuna favorevole circostanza d’ordine temporale: la fede è dono di Dio; e Dio solo segna nel mondo le linee e le ore della sua salute. Ma la Chiesa sa d’essere seme, d’essere fermento, d’essere sale e luce del mondo. La Chiesa avverte la sbalorditiva novità del tempo moderno; ma con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena, ma offre qualche cosa – la sua luce, la sua grazia – per poterla, come meglio possibile, conseguire; e poi parla agli uomini del loro trascendente destino. E intanto ragiona ad essi di verità, di giustizia, di libertà, di progresso, di concordia, di pace, di civiltà. Sono parole queste, di cui la Chiesa conosce il segreto; Cristo glielo ha confidato. E allora la Chiesa ha un messaggio per ogni categoria di uomini: lo ha per i bambini, lo ha per la gioventù, lo ha per gli uomini di scienza e di pensiero, lo ha per il mondo del lavoro e per le classi sociali, lo ha per gli artisti, lo ha per i politici e per i governanti. Per i poveri specialmente, per i diseredati, per i sofferenti, perfino per i morenti. Per tutti.
100. Potrà sembrare che così parlando Noi ci lasciamo trasportare dall’ebbrezza della nostra missione e che trascuriamo di considerare le posizioni concrete, in cui l’umanità si trova rispetto alla Chiesa cattolica. Ma non è così, perché Noi vediamo benissimo quali siano tali posizioni concrete; per darne un’idea sommaria ci pare di poterle classificare a guisa di cerchi concentrici intorno al centro, in cui la mano di Dio Ci ha posti.
Primo cerchio: tutto ciò che è umano
101. Vi è un primo, immenso cerchio, di cui non riusciamo a vedere i confini; essi si confondono con l’orizzonte; cioè riguardano l’umanità in quanto tale, il mondo. Noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano; ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch’è umano ci riguarda. Noi abbiamo in comune con tutta l’umanità la natura, cioè la vita, con tutti i suoi doni, con tutti i suoi problemi. Siamo pronti a condividere questa prima universalità; ad accogliere le istanze profonde dei suoi fondamentali bisogni, ad applaudire alle affermazioni nuove e talora sublimi del suo genio. E abbiamo verità morali, vitali, da mettere in evidenza e da corroborare nella coscienza umana, per tutti benefiche. Dovunque è l’uomo in cerca di comprendere se stesso e il mondo, noi possiamo comunicare con lui; dovunque i consessi dei popoli si riuniscono per stabilire i diritti e i doveri dell’uomo, noi siamo onorati, quando ce lo consentono, di assiderci fra loro. Se esiste nell’uomo un’anima naturalmente cristiana, noi vogliamo onorarla della nostra stima e del nostro colloquio.
102. Noi potremmo ricordare a noi stessi e a tutti gli altri come il nostro atteggiamento sia, da un lato, totalmente disinteressato; non abbiamo alcuna mira politica o temporale; dall’altro, sia rivolto ad assumere, cioè ad elevare a livello soprannaturale e cristiano, ogni onesto valore umano e terreno; non siamo la civiltà, ma fautori di essa.
La negazione di Dio: ostacolo al dialogo
103. Noi sappiamo però che in questo cerchio sconfinato sono molti, moltissimi purtroppo, che non professano alcuna religione; sappiamo anzi che molti, in diversissime forme, si professano atei. E sappiamo che vi sono alcuni che della loro empietà fanno professione aperta e la sostengono come programma di educazione umana e di condotta politica, nella ingenua ma fatale persuasione di liberare l’uomo da concezioni vecchie e false della vita e del mondo, per sostituirvi, dicono, una concezione scientifica e conforme alle esigenze del moderno progresso.
104. È questo il fenomeno più grave del nostro tempo. Siamo fermamente convinti che la teoria su cui si fonda la negazione di Dio è fondamentalmente errata, non risponde alle istanze ultime e inderogabili del pensiero, priva l’ordine razionale del mondo delle sue basi autentiche e feconde, introduce nella vita umana non una formula risolutrice, ma un dogma cieco che la degrada e la rattrista, indebolisce alla radice ogni sistema sociale che su di esso pretende fondarsi. Non è una liberazione, ma un dramma che tenta di spegnere la luce del Dio vivente. Perciò noi resisteremo con tutte le nostre forze a questa irrompente negazione, nell’interesse supremo della verità, per l’impegno sacrosanto alla confessione fedelissima di Cristo e del suo Vangelo, per l’amore appassionato e irrinunciabile alle sorti dell’umanità, e nella speranza invincibile che l’uomo moderno sappia ancora scoprire nella concezione religiosa, a lui offerta dal cattolicesimo, la sua vocazione alla civiltà che non muore, ma che sempre progredisce verso la perfezione naturale e soprannaturale dello spirito umano, abilitato, per grazia di Dio, al pacifico e onesto possesso dei beni temporali e aperto alla speranza dei beni eterni.
105. Sono queste le ragioni che ci obbligano, come hanno obbligato i Nostri Predecessori e con essi quanti hanno a cuore i valori religiosi, a condannare i sistemi ideologici negatori di Dio e oppressori della Chiesa, sistemi spesso identificati in regimi economici, sociali e politici, e tra questi specialmente il comunismo ateo. Si potrebbe dire che non tanto da parte nostra viene la loro condanna, quanto da parte dei sistemi stessi e dei regimi che li personificano viene a noi radicale opposizione di idee e oppressione di fatti. La nostra deplorazione è, in realtà, lamento di vittime ancor più che sentenza di giudici.
106. L’ipotesi d’un dialogo si fa assai difficile in tali condizioni, per non dire impossibile, sebbene nel nostro animo non vi sia ancor oggi alcuna preconcetta esclusione verso le persone che professano i suddetti sistemi e aderiscono ai regimi stessi. Per chi ama la verità, la discussione è sempre possibile. Ma ostacoli d’indole morale accrescono enormemente le difficoltà, per la mancanza di sufficiente libertà di giudizio e di azione e per l’abuso dialettico della parola, non già rivolta alla ricerca e all’espressione della verità obbiettiva, ma posta al servizio di scopi utilitari prestabiliti.
Anche nel silenzio un vigile amore
107. È per questo che il dialogo tace. La Chiesa del silenzio, ad esempio, tace, parlando solo con la sua sofferenza, e le fa compagnia quella d’una società compressa e avvilita, dove i diritti dello spirito sono soverchiati da quelli di chi dispone delle sue sorti. E quando il nostro discorso si aprisse in tale stato di cose, come potrebbe offrire il dialogo, mentre non dovrebbe essere che quello d’una voce che grida nel deserto?(63) Silenzio, grido, pazienza, e sempre amore diventano in tal caso la testimonianza che ancora la Chiesa può dare e che nemmeno la morte può soffocare.
108. Ma se ferma e franca dev’essere l’affermazione e la difesa della religione e dei valori umani ch’essa proclama e sostiene, non è senza pastorale riflessione che noi cerchiamo di cogliere nell’intimo spirito dell’ateo moderno i motivi del suo turbamento e della sua negazione. Li vediamo complessi e molteplici, così da renderci cauti nel giudicarli e più efficaci nel confutarli; li vediamo nascere talora dall’esigenza d’una presentazione del mondo divino più alta e più pura, che non quella forse invalsa in certe forme imperfette di linguaggio e di culto, forme che dovremmo studiarci di rendere quanto più possibile pure e trasparenti per meglio esprimere quel sacro di cui sono segno. Li vediamo invasi dall’ansia, pervasa da passionalità e da utopia, ma spesso altresì generosa, d’un sogno di giustizia e di progresso, verso finalità sociali divinizzate, surrogati dell’Assoluto e del Necessario, che denunciano il bisogno insopprimibile del Principio e del Fine divino, di cui toccherà al nostro paziente e sapiente magistero svelare la trascendenza e l’immanenza. Li vediamo valersi, talora con ingenuo entusiasmo, d’un ricorso rigoroso alla razionalità umana nell’intento di dare una concezione scientifica dell’universo; ricorso tanto meno discutibile, quanto più fondato sulle vie logiche del pensiero non dissimili spesso da quelle della nostra classica scuola, e trascinato, contro la volontà di quelli stessi che pensano trovarvi un’arma inespugnabile per il loro ateismo, per la sua intrinseca validità, trascinato – diciamo – a procedere verso una nuova e finale affermazione sia metafisica, che logica del sommo Iddio: non sarà tra noi chi possa aiutare questo obbligato processo del pensiero, che l’ateo-politico scienziato arresta volutamente ad un dato punto spegnendo la luce suprema della comprensibilità dell’universo, a sfociare in quella concezione della realtà oggettiva dell’universo cosmico, che rimette nello spirito il senso della Presenza divina, e sulle labbra le umili e balbettanti sillabe d’una felice preghiera? Li vediamo anche talvolta mossi da nobili sentimenti, sdegnosi della mediocrità e dell’egoismo di tanti ambienti sociali contemporanei, e abili ad usurpare al nostro Vangelo forme e linguaggio di solidarietà e di compassione umana: non saremo un giorno capaci di ricondurre alle sorgenti, che pur sono cristiane, tali espressioni di valori morali?
109. Ricordando perciò quanto scrisse il Nostro Predecessore di venerata memoria, papa Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in terris, e cioè che le dottrine di tali movimenti, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse, ma che i movimenti stessi non possano non evolversi e non andare soggetti a mutamenti anche profondi,(64) Noi non disperiamo che essi possano aprire un giorno con la Chiesa altro positivo colloquio, che non quello presente della Nostra deplorazione e del Nostro obbligato lamento.
Dialogo per la pace
110. Ma non possiamo staccare il Nostro sguardo dal panorama del mondo contemporaneo senza esprimere un voto lusinghiero: quello che il Nostro proposito di coltivare e perfezionare il Nostro dialogo con le varie e mutevoli facce, ch’esso presenta di sé, possa giovare alla causa della pace fra gli uomini; come metodo, che cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del linguaggio ragionevole e sincero; e come contributo, di esperienza e di sapienza, che può in tutti ravvivare la considerazione dei valori supremi. L’apertura d’un dialogo, come vuol essere il Nostro, disinteressato, obbiettivo, leale, decide per se stessa in favore d’una pace libera ed onesta; esclude infingimenti, rivalità, inganni e tradimenti; non può non denunciare, come delitto e come rovina, la guerra di aggressione, di conquista o di predominio; e non può non estendersi dalle relazioni al vertice delle nazioni a quelle del corpo delle nazioni stesse e alle basi sia sociali, che familiari e individuali, per diffondere in ogni istituzione ed in ogni spirito il senso, il gusto, il dovere della pace.
Secondo cerchio: i credenti in Dio
111. Poi intorno a noi vediamo delinearsi un altro cerchio, immenso anche questo, ma da noi meno lontano: è quello degli uomini innanzi tutto che adorano il Dio unico e sommo, quale anche noi adoriamo; alludiamo ai figli, degni del nostro affettuoso rispetto, del popolo ebraico, fedeli alla religione che noi diciamo dell’Antico Testamento; e poi agli adoratori di Dio secondo la concezione della religione monoteistica, di quella musulmana specialmente, meritevoli di ammirazione per quanto nel loro culto di Dio vi è di vero e di buono; e poi ancora i seguaci delle grandi religioni afroasiatiche. Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero, e quasi che autorizzassero i loro fedeli a non cercare se Dio stesso abbia rivelato la forma, scevra d’ogni errore, perfetta e definitiva con cui Egli vuole essere conosciuto, amato e servito; ché anzi, per dovere di lealtà, noi dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed essere quella cristiana, e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio.
112. Ma non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane, vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali, che possono essere comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile. In ordine a questi comuni ideali un dialogo da parte nostra è possibile; e noi non mancheremo di offrirlo là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà benevolmente accettato.
Terzo cerchio: i Cristiani Fratelli separati
113. Ed ecco il cerchio, a Noi più vicino, del mondo che a Cristo s’intitola. In questo campo il dialogo, che ha assunto la qualifica di ecumenico, è già aperto; in alcuni settori è già in fase di iniziale e positivo svolgimento. Molto vi sarebbe da dire su questo tema tanto complesso e tanto delicato, ma il Nostro discorso non finisce qui. Esso si limita ora a pochi accenni, e non nuovi. Volentieri facciamo nostro il principio: mettiamo in evidenza anzitutto ciò che ci è comune, prima di notare ciò che ci divide. È questo un tema buono e fecondo per il nostro dialogo. Siamo disposti a proseguirlo cordialmente. Diremo di più: che su tanti punti differenziali, relativi alla tradizione, alla spiritualità, alle leggi canoniche, al culto, Noi siamo disposti a studiare come assecondare i legittimi desideri dei Fratelli cristiani, tuttora da noi separati. Nulla tanto ci può essere più ambito che di abbracciarli in una perfetta unione di fede e di carità. Ma dobbiamo pur dire che non è in Nostro potere transigere sull’integrità della fede e sulle esigenze della carità. Intravediamo diffidenze e resistenze a questo riguardo. Ma ora che la Chiesa cattolica ha preso l’iniziativa di ricomporre l’unico ovile di Cristo, essa non cesserà di procedere con ogni pazienza e con ogni riguardo; non cesserà di mostrare come le prerogative, che tengono ancora da lei lontani i Fratelli separati, non sono frutto d’ambizione storica o di fantastica speculazione teologica, ma sono derivate dalla volontà di Cristo, e che esse, comprese nel loro vero significato, sono a beneficio di tutti, per l’unità comune, per la libertà comune, per la pienezza cristiana comune; la Chiesa cattolica non cesserà di rendersi idonea e degna, nella preghiera e nella penitenza, dell’auspicata riconciliazione.
114. Un pensiero, a questo riguardo, Ci affligge, ed è quello che fa vedere come proprio Noi, fautori di tale riconciliazione, siamo, da molti Fratelli separati, considerati l’ostacolo ad essa, a causa del primato di onore e di giurisdizione, che Cristo ha conferito all’apostolo Pietro, e che Noi abbiamo da lui ereditato. Non si dice da alcuni che, se fosse rimosso il primato del Papa, l’unificazione delle Chiese separate con la Chiesa cattolica sarebbe più facile? Vogliamo supplicare i Fratelli separati a considerare la inconsistenza di tale ipotesi; e non già soltanto perché, senza il Papa, la Chiesa cattolica non sarebbe più tale; ma perché, mancando nella Chiesa di Cristo l’ufficio pastorale sommo, efficace e decisivo di Pietro, l’unità si sfascerebbe; e invano poi si cercherebbe di ricomporla con criteri sostitutivi di quello autentico, stabilito da Cristo stesso: Vi sarebbero nella Chiesa tanti scismi quanti sono i sacerdoti, scrive giustamente san Girolamo.(65) E vogliamo altresì considerare che questo cardine centrale della santa Chiesa non vuole costituire supremazia di spirituale orgoglio e di umano dominio, ma primato di servizio, di ministero, di amore. Non è vana retorica quella che al Vicario di Cristo attribuisce il titolo di servo dei servi di Dio.
115. Su questo piano veglia il Nostro dialogo, che ancor prima di svolgersi in fraterne conversazioni si esprime a colloquio col Padre celeste in effusione di preghiera e di speranza.
Auspici e speranze
116. Dobbiamo con gaudio e con fiducia notare, Venerabili Fratelli, che questo vario ed estesissimo settore dei Cristiani separati è tutto pervaso da fermenti spirituali, che sembrano preludere a futuri consolanti sviluppi per la causa della loro ricomposizione nell’unica Chiesa di Cristo. Vogliamo implorare il soffio dello Spirito Santo sul « movimento ecumenico »; vogliamo ripetere la Nostra commozione ed il Nostro gaudio per l’incontro pieno di carità e non meno di nuova speranza che abbiamo avuto a Gerusalemme con il Patriarca Atenagora; vogliamo salutare con rispetto e con riconoscenza l’intervento di tanti Rappresentanti delle Chiese separate al Concilio Ecumenico Vaticano II; vogliamo assicurare ancora una volta che guardiamo con attento e sacro interesse i fenomeni spirituali, caratterizzati dal problema dell’unità, che muovono persone e gruppi e comunità di viva e nobile religiosità. Con amore, con riverenza salutiamo tutti questi Cristiani, nell’attesa che ancor meglio nel dialogo della sincerità e dell’amore ci sia dato promuovere con loro la causa di Cristo e dell’unità da lui voluta per la sua Chiesa.
Il dialogo nell’interno della Chiesa cattolica
117. E finalmente il Nostro dialogo si offre ai Figli della Casa di Dio, la Chiesa una santa cattolica e apostolica, di cui questa romana è madre e capo. Quanto lo vorremmo godere in pienezza di fede, di carità, di opere questo domestico dialogo; quanto lo vorremmo intenso e familiare! quanto sensibile a tutte le verità, a tutte le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e spirituale! quanto sincero e commosso nella sua genuina spiritualità! quanto pronto a raccogliere le voci molteplici del mondo contemporaneo! quanto capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti!
Carità e obbedienza
118. Questo desiderio d’improntare i rapporti interiori della Chiesa dello spirito proprio d’un dialogo fra membri d’una comunità, di cui la carità è principio costitutivo, non toglie l’esercizio della virtù dell’obbedienza là dove l’esercizio della funzione propria dell’autorità da un lato, della sottomissione dall’altro è reclamato sia dall’ordine conveniente ad ogni ben compaginata società, sia soprattutto dalla costituzione gerarchica della Chiesa. L’autorità della Chiesa è anzi rappresentativa di Lui, è veicolo autorizzato della sua parola, è trasposizione della sua pastorale carità; così che la obbedienza muove da motivo di fede, diventa scuola di umiltà evangelica, associa l’obbediente alla sapienza, all’unità, all’edificazione, alla carità che reggono il corpo ecclesiastico, e conferisce a chi la impone e a chi vi si uniforma il merito dell’imitazione di Cristo fattosi obbediente sino alla morte.(66)
119. Per obbedienza perciò svolta a dialogo intendiamo l’esercizio dell’autorità tutto pervaso dalla coscienza di essere servizio e ministero di verità e di carità; e intendiamo l’osservanza delle norme canoniche e l’ossequio al governo del legittimo superiore, resi pronti e sereni, come si conviene a figli liberi ed amorosi. Lo spirito d’indipendenza, di critica, di ribellione male si accorda con la carità animatrice della solidarietà, della concordia, della pace nella Chiesa, e trasforma facilmente il dialogo in discussione, in diverbio, in dissidio; spiacevolissimo fenomeno, anche se purtroppo sempre facile a prodursi, contro il quale la voce dell’apostolo Paolo ci premunisce: Non vi siano tra voi degli scismi.(67)